Dopo un anno pieno di impegni, sommersi da informazioni di ogni tipo, avremmo bisogno di una pausa. L’opzione “silenzioso”, però, non impedisce la ricezione di messaggi di auguri e bilanci di fine anno. Niente di più facile che “dare i numeri”!
Statistiche, followers, like, visualizzazioni, recensioni, spread, pil, consumi e debiti condizionano le nostre scelte personali e politiche, razionali ed emotive. Sono solo numeri, ma riescono a farci piangere quando sono “in rosso”; ci fanno rimanere in Europa se rispettiamo il 2,04%; ci fanno ridere solo se abbiamo un senso dell’umorismo cinico.
Tra pochi giorni l’obbligo della fattura digitale si sommerà a quello di firmare consensi e preventivi persino per cambiare una serratura. Per accedere a un sito devi accettare cookie, localizzazione e trattamento dei dati. Da un medico devi firmare la scheda medica e due consensi informati; prima di fare un intervento chirurgico devi accettare tutte le possibili conseguenze, morte compresa.
La prossima volta che andrete a fare una visita, provate a misurare il tempo che il medico dedica a leggere e inserire dati su uno schermo e quello in cui vi guarda in faccia.
Firmiamo chilometri di contratti senza capire e spesso senza leggere. Per la privacy il nome di un cliente è trasformato in un codice. In nome del progresso scientifico-economico-tecnologico viene tutto codificato, registrato e ridotto a dei numeri.
I gruppi di acquisto solidale resistono a questi meccanismi perché basati sulla centralità delle persone e su relazioni dirette in piccoli gruppi. Sono il luogo in cui si incontrano gusti, principi, affinità, esigenze, risorse, offerte e capacità personali dei consumatori con quelle dei produttori. I greci dicevano che l’arte del vivere consiste nel riconoscere la propria indole e le proprie capacità e nel farle fiorire secondo misura (la realizzazione del proprio “daimon” è la via della felicità). La valorizzazione della specificità e della biodiversità dei frutti della terra (ortaggi, frutti, cereali, semi etc), e delle persone che sostengono questo processo, assume una valenza filosofica che va oltre il mondo agricolo. Nel deserto dell’insensatezza che l’atmosfera nichilista e omologante del nostro tempo diffonde, ritornare a dare senso e valore alla peculiarità delle piccole cose e a tutte le specie viventi, può aiutarci a ricostruire una cultura collettiva più equilibrata che sappia veramente accogliere le differenze di ciascuno (persino alcuni nevrosi tipiche del nostro tempo sarebbero utili) senza etichettare e uniformare.
Riporto solo alcuni numeri, per non lasciare l’esclusiva della loro elaborazione a macchine e finanza che manovrano l’economia e le nostre menti:
Nel mondo MACRO
-Dopo 6 anni di lieve calo, nel 2018 il consumo di carne è ripreso ad aumentare: +5% in Italia; +3% in Australia; in USA hanno superato il triplo della dose media giornaliera raccomandata dall’AIRC e dall’OMS; in Cina negli ultimi 40 anni è aumentato del 400%, consumano metà dei suini del mondo, il ministero della salute punta a una riduzione del 50% nei prossimi anni (essere la prima potenza economica di un mondo soffocato da emissioni “maleodoranti”, li costringe ad un minimo di lungimiranza). Nel 1925 il pollo andava in vendita negli USA a 112 giorni di vita con un peso di 1100 grammi; mio nonno aspettava 180 giorni; ora arriva al consumatore in meno della metà del tempo, a soli 48 giorni, ma con un peso più che doppio, cioè 2800 grammi. Aumentano le dimensioni degli allevamenti intensivi e molti si convertono al biologico solo per beneficiare di fondi e prezzi più alti. Fanno fatica a sopravvivere le piccole aziende in cui gli animali sono allevati all’aperto rispettando la loro natura.
-Nel 2018 il consumo di prodotti biologici è aumentato del 10,5%; l’incremento delle vendite è stato interamente assorbito dalla grande distribuzione. Aumentano le dimensioni delle aziende agricole e quelle piccole continuano a chiudere.
-Il consumo di acqua potabile da parte degli allevamenti si attestava nel 2017 al 70% del totale; secondo stime del 2018 l'assorbimento arriverebbe addirittura al 92% di tutta l’acqua potabile. Valori che sembrano assurdi, ma diventano comprensibili osservando le stime sulle necessità per singola tipologia di prodotto: per ottenere un chilo di vegetali servono 322 litri d'acqua, per un chilo di frutta 962 litri; se ci si sposta nel regno animale le necessità si moltiplicano: per un chilo di pollo occorrono oltre 4 mila litri d'acqua, per il suino 6 mila, fino alla stratosferica quantità di 15 mila litri d'acqua per avere un chilo di carne bovina. Per soddisfare la “fame” crescente di carne, dobbiamo pagare cari prezzi, ma non alla cassa! Gli allevamenti intensivi sono notoriamente tra le più potenti fonti di emissioni nocive: a livello atmosferico, le tre più grandi aziende del settore emettono tanto gas serra quanto l'intera Francia; a livello di corsi d'acqua e suolo producono enormi quantità di nitrati e fosfati che favoriscono l'eutrofizzazione del territorio e l’inquinamento delle falde; a livello individuale chi mangia molta carne è più soggetto al cancro e a sviluppare resistenze agli antibiotici … mio nonno diceva che mangiata la sera fa dormire male … oggi diremmo che non concilia il rilassamento e la meditazione.
Nel mondo MICRO (il nostro gas, le nostre famiglie, la nostra comunità).
In queste piccole dimensioni Google non aiuta ad ottenere dati: se digito “gasGuanzate” o “gasCadorago” trovo prevalentemente distributori di gas e metano . Non essere su google non significa non essere importanti, anzi, è opportuno che certi ambiti fondamentali che stiamo perdendo (relazioni e intimità) non viaggino su reti globalizzate ma su canali più diretti. Sulla base degli ordini, “a occhio”, direi che i nostri gas vanno bene. Da settembre sono più che raddoppiati gli acquisti di pasta, frutta, verdura, cereali, olio e mandorle. La qualità dei prodotti distribuiti è stata sotto molti punti di vista migliore di quella disponibile nei supermercati e nei mercati. Ho provato un grande piacere nell’assaporare aromi, consistenze e varietà che mi ero dimenticato o che non conoscevo. Vedere come alcuni nostri produttori curano e osservano la loro terra mi ridà speranza. Sentirli descrivere l’equilibrio e la varietà del loro ambiente e dei loro prodotti m’insegna molte; per esempio per scegliere un limone valutavo lo stato di provenienza, la certificazione bio e il colore; pensavo: se arriva dalla UE va bene; se è bio posso mangiare la buccia, se è verde è acerbo; ma non ne azzeccavo mezza!!! In realtà esiste una miriade di varietà; ogni singola varietà cambia in base al terreno in cui è coltivata, alla concimazione naturale o chimica, al clima e al periodo di raccolta; la stessa pianta, nell’arco dello stesso anno ci può donare 4 tipologie di frutti con colore, aroma, sapore, acidità della buccia, principi nutritivi e percentuale di succo diverse; con quello di febbraio posso fare spremute, con quello di aprile-maggio cocktail rinfrescanti e condire le prime insalatine, con quello di settembre posso mangiare la parte bianca della buccia che è meno acida e amara che in altre stagioni; con quello di dicembre torte con le mele, perché la parte esterna gialla è più ricca di oli essenziali aromatici … e per non far marcire le mele ! Un limone rimane un limone, ma questa consapevolezza sollecita una curiosità che ci avvicina ai cicli stagionali, alla terra e alla meravigliosa biodiversità che genera; la natura non considerata come qualcosa da proteggere impegnandoci politicamente, ma come una ricchezza che ci dona gioia.
Facendomi i conti in tasca, mi accorgo che quello che acquisto col gas o che auto-produco è inferiore alla somma degli scontrini del supermercato. Per la grande distribuzione i numeri e i profitti sono tutto, ed è normale che vincano loro questa partita; per un gas no (ci sono già quelli del contatore del gas a farci disperare in inverno), altrimenti avremmo perso in partenza il campionato. C’è un elemento non contabilizzabile alla base di un gas; quella cosa che lo fa sopravvivere in un mondo che va in un’altra direzione; che sostiene modelli di produzione e stili di vita non solo più sostenibili, ma anche più belli. Dove si trova questa “cosa”?:
Si trova nel tempo dedicato agli altri e nelle azioni gratuite e volontarie; nella visione di un modello agricolo che rispetta la terra, gli animali e le persone con i loro delicati equilibri; nel piacere di coltivare relazioni dirette con le persone vicine, parlando dei nostri bisogni fondamentali (mangiare, bere, respirare, camminare, osservare); nel soddisfare il bisogno di appartenenza ad una comunità; nel costruire una memoria comune e un futuro migliore; in un mercato basato sull’incontro tra chi produce e chi consuma.
Ma ritorniamo ai numeri, anche se c’è poco da stare allegri. A pochi anni dalla caduta del muro di Berlino “Siamo tornati a costruire muri. Sono oltre 6000 i km di barriere innalzate nel mondo negli ultimi 10 anni” (Tim Marshall, 2018). Questo dato è molto preoccupante perchè: la storia insegna che la costruzione di muri si accompagna a guerre oltre che a separazioni (sia nel mondo macro, che micro); non comprende i milioni di km di barriere fisiche che separano sempre più città, quartieri e zone residenziali per ricchi; non comprende quelle ancora più insidiose barriere invisibili che separano le persone all’interno di un paese, di una casa e di una famiglia.
Le reti digitali invece di unire, favorendo socializzazione e comunicazione, si stanno dimostrando un potente strumento di isolamento. La televisione, definita da Popper “Cattiva maestra”, confrontata con i “social” è acqua di rose. Negli Stati Uniti monitorano in tempo reale gli effetti dell’uso delle nuove tecnologie sulle nuove generazioni. Il paradosso che emerge è che proprio “l’uso dei social” è lo strumento più potente per far aumentare: solitudine, infelicità, depressione, tendenze suicide; e diminuire: risultati scolastici, creatività, propensioni artistiche (Twenge, 2018). Questa non è un’opinione, ma il risultato di studi che analizzano la miriade di dati raccolti ed elaborati istantaneamente proprio grazie alle tecnologie digitali. La classica obiezione è che sul singolo l’effetto dipenda da come si utilizza lo strumento. Vero! Ma le statistiche valutano anche questa variabile qualitativa: quello che emerge è che gli strumenti digitali non sono strumenti neutri soprattutto nell’età evolutiva. Un coltello è neutro: se lo uso per tagliare una mela va bene; se lo uso x accoltellare qualcuno va male. Questo principio non vale per lo smartphone: se un ragazzo lo usa un tot di ore avrà un tot di probabilità di avere dei precisi effetti.
Nelle trasmissioni televisive sento spesso il ritornello: “Un uso moderato dei videogiochi e dei social stimola l’intelligenza e favorisce le relazioni”. Già l’uso del linguaggio tipico di dipendenze e droghe mi fa pensare …: mi sembrano quelle pubblicità che invitano a scommettere o a giocare a poker on line con moderazione! Che i pionieri della silicon valley (B. Gates, J. Kaplan, L. Page, S. Brin, J. Besoz) non comprino smartphone ai loro figli fino a 14 anni, mi fa venire in mente lo spacciatore che per mantenersi lucido non consuma quello che vende. È solo una fantasia esagerata, ma la realtà a volte supera l’immaginazione.
In Italia il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani, dopo gli incidenti stradali; dal 2015 al 2017 il numero di tentativi di suicidio è raddoppiato, dal 3,3 al 5.9%; 6 adolescenti su 100 cercano materialmente di togliersi la vita (e i dati sono sottostimati perché comprendono solo chi lo dichiara o viene registrato in pronto soccorso); nel 2017 sono stati accertati 440 suicidi di adolescenti. Nel resto del mondo (USA, Giappone, Svezia, etc) le cose vanno ancora peggio, ma si preferisce non parlarne … e coltivare la paura del “diverso”, quando invece i dati dicono che siamo noi i primi a farci del male.
Non si tratta di schierarsi tra ottimisti\pessimisti o pro\contro la tecnologia. Il progresso tecnologico è inarrestabile e per non rimanere sommersi è utile avere una visione chiara di una realtà complessa e sempre più liquida. Secondo Umberto Galimberti i depositari di questa visione realistica sono una piccola percentuale dei giovani d’oggi che definisce “Nichilisti Attivi”: ragazzi consapevoli dei problemi della società moderna, ma integrati, pragmatici, propositivi e innovatori. Il gas mi sembra un ambiente ideale per applicare questa filosofia legata alla realtà. In fondo si tratta di quello che mangiamo, dell’ambiente in cui viviamo e delle relazioni umane legate sia al mondo del lavoro che del tempo libero. Se non riusciamo a far interessare i nostri figli a questo ambiente è perché siamo noi i primi a non guardarlo con curiosità sempre viva e rinnovata, come qualcosa di bello e non come uno “sbattimento”.
Abbandoniamo la retorica del: bisogna coinvolgere i giovani; i giovani non hanno valori; i giovani sono peggio delle generazioni passate. I partecipanti al gas sono genitori che curano molto i vari aspetti dell’educazione nelle proprie famiglie. Sulla base dei pochi figli, cugini, nipoti dei gasisti che conosco, se dovessi sparare delle recensioni, direi che hanno livelli di istruzione, apertura alle novità, simpatia, educazione civica e all’affettività superiori ai genitori.
Perché, tranne rari casi, non vengono mai alle riunioni, non gestiscono ordini e non conoscono produttori? Ho provato a far venire i miei figli all’incontro con Oglio, ma uno voleva giocare e l’altro studiare. Il piacere per il gioco e per lo studio sono importanti, ma evidentemente non gli ho trasmesso quello di partecipare ad un gas.
Se le attività predominanti sono raccogliere ordini on line, fare conti, incastrare impegni e consegnare merce, il piacere è messo a dura prova. Facciamo mangiare ai nostri figli cose più sane, ma rimaniamo i primi a pensare che loro abbiano cose migliori da fare: più importanti per il loro futuro e più piacevoli per il presente.
I numeri dicono che l’alimentazione è molto importante per la salute, ma anche che: “Nei paesi ricchi come gli Stati Uniti il fattore più importante che influenza il benessere, la qualità e la durata della vita è la qualità delle relazioni sociali”. Anche qui la sintesi a cui sono arrivati ponderosi studi scientifici longitudinali (più di 50 anni di raccolta dati seguendo tutti gli strati della variegata popolazione americana, coinvolgendo 3 generazioni di professori e ricercatori universitari) non è molto diversa da quella a cui arriva il buon senso comune: “Chi ha relazioni appaganti con le persone che lo circondano vive di più e meglio”. Anche per questo in un gas l’importanza di ordini, conti e pagamenti dovrebbe essere secondaria a forme di relazione più stimolanti e divertenti.
Mi sembra opportuno non tralasciare un dato allarmante: nel 2018, anche se è diminuita la % relativa, è aumentato il numero assoluto di persone che soffrono e muoiono di fame (FAO 2018). Ciò accade anche perché, a differenza del restante regno animale, gli esseri umani si stanno riproducendo di più dove stanno peggio. Ci raccontano che le tecnologie e la chimica utilizzate nell’agricoltura intensiva servano per sfamare un pianeta sempre più sovrappopolato. Vi risparmio altre pagine di dati che sfatano questo mito del progresso, dietro cui si nascondono solo logiche di profitto. È sufficiente il buon senso comune e un minimo di sensibilità per comprendere l’assurdità di “consumare” i pochi terreni rimasti fertili, dove sempre più uomini muoiono di fame, per alimentare animali da far mangiare a popolazioni obese: è una ottusa crudeltà nei confronti della terra, dell’acqua, delle piante, degli animali e degli esseri umani. È la radice di problemi più generali come l’immigrazione, il razzismo e la paura del diverso. È un quadro che rappresenta molto bene lo stretto legame esistente tra agricoltura, alimentazione e relazioni (tra uomini, tra uomo e animali, tra uomo e natura e con lo spirito e l’energia che unisce il tutto). “Ogni specie vivente fa parte di una rete di relazioni di cui sappiamo molto poco. Per questo ogni organismo vivente va protetto. La vita è merce rara nell’universo” (Mancuso, L’incredibile viaggio delle piante, 2018). La maggioranza delle piante che oggi sono percepite come parte del nostro patrimonio culturale sono soltanto delle straniere che si sono ben integrate: Il mais con cui facciamo la polenta e il pomodoro, sono specie originarie del Messico, importate meno di 500 anni fa; prima di essere accettate sono state considerate tossiche e ne hanno passate di tutti i colori (il pomodoro da giallo è diventato rosso, il basilico era considerato un veleno) e la prima ricetta di pasta al pomodoro risale solo a metà dell’ottocento.
Le monoculture intensive, le vecchie catene di fastfood, la nuova moda di farcire pizze con dolci di ogni tipo sono esempi di omologazione di sapori, di culture agricole e culinarie, che riducono le differenze e le peculiarità delle cose. Con le persone facciamo lo stesso: il diverso e lo straniero ci danno fastidio e quindi tentiamo di scacciarlo o di uniformarlo. Mischiare ed integrare è diventato omologare. Dimentichiamo che le cose più preziose sono quelle rare, peculiari e legate alle vocazioni e agli ambienti naturali e affettivi in cui crescono e vivono. Sono queste le ricchezze che dovremmo coltivare, osservare o almeno rispettare. La paura del diverso non è la strada giusta per soddisfare il nostro bisogno di appartenenza. Sono le relazioni con le persone vicine a creare spirito di appartenenza! Relazioni basate sul rispetto, l’ascolto e la valorizzazione delle differenze di ciascuno. Parlare in vivavoce guidando l’auto in mezzo al traffico o messaggiare sui social nei ritagli di tempo non mi sembrano modalità comunicative adatte a questo tipo di relazioni. Passeggiare insieme in mezzo ai campi, osservando la natura e scambiandosi punti di vista guardandosi in faccia, mi sembra una modalità relazionale molto più evoluta, anche se richiama tempi passati. Ciò non significa rinunciare alle tecnologie o alla conoscenza, ma ricondurle e guidarle in un processo evolutivo che tenga conto della nostra natura “umana”.
Dario Bardellotto (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)
PS: Mi scuso per le imprecisioni e per non aver inserito tutte le fonti dei dati: un po’ per pigrizia nell’incollarli e nel ricercare libri che ho riconsegnato in biblioteca; un po’ perché dovremmo imparare a “fidarci” (la fiducia nell’altro e quella in se stessi sono due facce della stessa medaglia) di più delle persone che conosciamo direttamente rispetto a enti certificatori e di ricerca, anche se molto più autorevoli.