Dai vestiti per i marchi dell’alta moda alle mascherine protettive, il vero lusso di queste settimane di emergenza sanitaria in cui un abito firmato passa decisamente in secondo piano. Decine di aziende tessili stanno cercando una rapida riconversione impensabile fino a poche settimane fa: stop alle produzioni tradizionali e avanti con le mascherine. Confindustria Moda ha lanciato alle imprese un appello a fare tutto il possibile: materiali e linee produttive sono spesso simili, dunque l’operazione è possibile. E anche conveniente, perché significa diversificare il business in un momento in cui il blocco degli ordini è una realtà amarissima. In tanti ci stanno provando, dalla Puglia alla Brianza, dal distretto di Prato a quello lombardo della calza. Tutti alle prese con una domanda incessante e centralini intasati.

C’è di tutto: l’imprenditore che non vuole profitti e regala le mascherine, l’azienda che cerca un legittimo guadagno per reggere, l’operaio che porta a casa la macchina per cucire e lavora alla domenica, semplici cittadini che danno una mano. Il problema di fondo è che, salvo rari casi, queste mascherine non possono essere consegnate agli ospedali perché per le certificazioni servono mesi. «Siamo pronti a una riconversione produttiva, ma resta indispensabile chiarire gli aspetti tecnici e normativi» dice Claudio Marenzi, presidente di Confindustria Moda.

Intanto si procede. E se le mascherine non sono perfette, pazienza: «Noi lo premettiamo ai clienti: la protezione potrebbe essere uguale, ma non siamo in grado di garantirlo. Di certo usiamo lo stesso materiale, il prolipopilene, e abbiamo analoghi valori di peso e spessore – spiega Alido Bennati, titolare della Machattie di Prato –. La proprietà di filtraggio è ottima. Produciamo 5mila pezzi al giorno». A pochi chilometri di distanza, a Vaiano, sempre nel distretto tessile di Prato, la Dreoni - 30 addetti nella produzione di interni per auto - è tra le poche a garantire gli standard necessari per la Sanità. E per i 10mila abitanti del paese l’azienda è diventata un piccolo orgoglio: sabato in fabbrica a dare una mano c’erano anche semplici cittadini e sono arrivate le autorità regionali a ringraziare. «È stato il sindaco a chiederci di provarci, per rifornire il Comune e la farmacia – spiega il titolare Franco Dreoni – e stiamo andando benissimo. Le nostre mascherine sono state validate da un laboratorio indicatoci dalla Regione e quindi abbiamo iniziato a farle arrivare all’ospedale di Prato e al Mayer di Firenze. Ne sforniamo 2mila al giorno e raddoppieremo presto. Ci chiamano soprattutto aziende che devono darle ai dipendenti per non doversi fermare».

Sono imprese, quelle del tessile, ma non tutto è business. In molti casi c’è solo la voglia di aiutare il Paese. Es’Givien, marchio di moda a metà tra Verona e la Toscana, in tre giorni ha fatto produrre 5mila mascherine, regalandole agli ingressi degli ospedali, ad aziende e famiglie: «Ci sono operai che si sono portati la macchina per cucire a casa per lavorare anche la domenica» racconta la titolare Vivilla Zampini. «Anche noi regaliamo le mascherine a chiunque le chieda – dice Pierluigi Gaballo, 300 dipendenti nella sua Gda di Galatina, nel Leccese–. La certificazione? Non la chiediamo, servirebbero mesi: tanto vale dare una mano come possiamo. Certo, se la burocrazia fosse alleggerita potremmo fare un grande lavoro anche per gli ospedali».

I commenti dei lettori