La giustizia britannica ha negato l’estradizione del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, negli Stati Uniti e ordinato la liberazione dal carcere. La giudice Vanessa Baraister ha così respinto, a sorpresa rispetto alle attese, la richiesta avanzata da Washington di portare Assange negli States, dove è accusato di spionaggio e pirateria informatica per aver contribuito a diffondere file riservati americani relativi, tra le altre cose a crimini di guerra in Afghanistan e Iraq. Un’accusa per la quale il fondatore australiano del celebre portale rischiava una condanna a 175 anni. Alla base della decisione di Baraister ci sono le condizioni mentali del fondatore australiano dell’organizzazione e la convinzione che sia a rischio suicidio. Washington ha già annunciato di voler ricorrere in appello.

La giudice ha respinto le affermazioni della difesa, secondo cui Assange sarebbe protetto dalle garanzie legate alla libertà di espressione, affermando che la sua “condotta, se provata, ammonterebbe in questa giurisdizione a reati non protetti dal diritto di libertà di stampa”. Tuttavia, ha detto, il 49enne soffre di depressione clinica, che si aggraverebbe se dovesse affrontare l’isolamento cui sarebbe probabilmente sottoposto nelle carceri del Paese nordamericano. Assange, ha detto la giudice, ha “le capacità intellettuali e la determinazione” per aggirare qualsiasi misura di prevenzione del suicidio che le autorità possano applicare.

Baraister si è detta persuasa della “buona fede” degli inquirenti americani e ha respinto le contestazioni della difesa contro i timori di un processo iniquo Oltreoceano. Ma ha negato comunque l’estradizione, definendo insufficienti le garanzie date dalle autorità di Washington a tutela dal pericolo di un eventuale tentativo di suicidio.

“È una grande notizia”, ha twittato Glenn Greenwald, giornalista investigativo che fu in prima fila nella diffusione dei documenti segreti svelati da WikiLeaks, deplorando che “la giudice abbia sposato la maggior parte delle teorie d’accusa dei procuratori Usa”, ma compiacendosi che abbia “in ultima analisi bollato il sistema carcerario americano come troppo disumano per permettere l’estradizione”.

Analogo il commento della Freedom of the Press Foundation, nota ong statunitense: “L’accusa contro Julian Assange è una delle minacce più pericolose alla libertà di stampa da decenni. Il verdetto rappresenta un enorme sollievo. Anche se la giudice non ha preso la sua decisione a tutela della libertà d’informazione, ma decretando essenzialmente il sistema carcerario Usa troppo repressivo, si tratta comunque di un risultato che protegge i giornalisti”.

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