Apprendo oggi dai giornali che il governo mi considera una pensionata d’oro.
In effetti, ho una buona pensione, posso farcela a sopportare quel che la manovra prevede, però: sono davvero una pensionata d’oro?
Fino a quasi 20 anni ho “fatto la signorina”, come diceva il mio papà, cioè ho solo studiato (con l’obbligo di avere dei bei voti: così la mia zia maestra riusciva sempre a trovare un bando di borsa di studio a cui potessi concorre con successo: dalle piccole borse per bambini delle elementari al pre-salario all’università).
Il giorno in cui ho compiuto 20 anni la mia situazione era questa:
- aver la responsabilità di una casa e una famiglia (composta da me e dai miei fratelli minori, essendo appena morta la mamma, dopo che il papà era morto 4 anni prima: lo zio nostro tutore abitava in un’altra città)
- lavorare (appena nominata maestra di ruolo)
- continuare l’Università (iscritta al 4° anno, dato che avevo saltato una classe elementare ed ero nata a novembre).
Nei 12 anni successivi:
- mi sono sposata e ho avuto 2 bambini
- per 10 anni ho lavorato a scuola come maestra: 4 anni ad orario normale e 6 anni a tempo pieno (il che prevedeva allora –almeno nei primi anni- una serie di impegni accessori che i colleghi a orario normale non avevano)
- per 1 anno sono stata in maternità (1 anno complessivo, da suddividersi su 2 maternità)
- per 1 anno ho lavorato in ufficio, in Provveditorato
- ho ‘lavorato ‘ (gratis, s’intende) per il Sindacato Scuola CGIL, per il PCI e per l’UDI (Unione Donne italiane), ottenendo tra l’altro che agli insegnanti come me fosse aumentato l’orario di lavoro e fossero tolti alcuni privilegi (come la tessera per gli sconti sulle ferrovie).
Nei 18 anni successivi:
- ho lavorato come direttrice didattica nelle scuole elementari e materne
- ho lavorato tanto: un orario di fatto di 36 ore settimanali per 12 mesi all’anno: ciò vuol dire che il mese di ferie, in realtà, compensava giuste giuste le ore di straordinario fatte durante l’anno, la cui retribuzione non era prevista per il personale ‘direttivo’ - (il provveditore voleva che tenessimo un ‘brogliaccio’ del nostro orario giornaliero, segnando ore d’ufficio e ore di riunioni: quando sono andata in pensione ho fatto il conto…)
- ho lavorato con impegno, cioè assumendomi responsabilità ed operando per favorire gli insegnanti che più si impegnavano per il bene dei loro alunni (e impiegati. bidelli e cuochi che facevano altrettanto), per garantire la miglior scuola possibile a bambini di famiglia disagiata o handicappati – non voglio giudicare la qualità del mio lavoro: so che altri han lavorato meglio di me – ma quanto all’impegno, non voglio far la finta modesta
- ho pagato 3 anni di contributi per i 3 anni in cui ero stata studente universitaria.
Sono andata in pensione a 50 anni (per la precisione: 49 anni e 10 mesi) con 33 anni di contributi: un pensionamento conveniente, anche se non ho mai accettato di esser considerata una pensionata-baby.
Per me è stato importante andare in pensione ‘presto’: perché nell’ultimo anno di servizio ha speso gran parte delle mie energie a rimediare agli errori che facevo per problemi di memoria.
In questi 12 anni da pensionata:
- ho ‘lavorato’ come volontaria un po’ per il Coordinamento lavoratori Stranieri del sindacato, ma soprattutto per una cooperativa, coordinando interventi di mediazione culturale: un anno per l’altro, credo di aver fatto un bel part-time di 20 ore settimanali (ma non ho tenuto il brogliaccio),
- ‘lavorare’ come volontaria non vuol dire operare gratis, ma operare in perdita, mettendoci benzina, telefono, guasti all’automobile e un incidente stradale
- i problemi di memoria continuano ad esserci, ma utenti e operatori li accettano in una pensionata volontaria,
- negli ultimi 3 anni ho cominciato a fare una bella fetta di assistenza ai 3 nipotini, supplendo anche ai servizi inesistenti o troppo costosi.
Certo la mia pensione è buona: è passata da 1500 euro mensili netti nel 1999 a 1900 netti oggi.
Mio marito invece (impiegato metalmeccanico con 36 anni e mezzo di contributi) ne prende 1400.
Possiamo fare una vita normale senza preoccupazioni. Possiamo pure aiutare i nostri figli (e anche i figli degli altri).
Possiamo farcela anche se con la manovra io perderò (credo) 250 euro all’anno e mio marito 100.
Non ho capito che cosa mi succederà con la riforma fiscale: ma certamente ce la farò. (quest’anno ho pagato più di 8.000 euro di IRPEF, quasi 8.700 considerando le addizionali regionale e comunale)
Posso dare anche di più, se serve a buon fine.
Posso, però:
- non accetto di esser chiamata “pensionata d’oro”, perché sono una persona onesta: semmai chiamiamo “pensioni di fame” le pensioni di 900 euro, di 700 euro, di 500 euro con cui l’Italia fa’ campare la maggior parte dei pensionati
- e poi, vorrei sapere: chi prende 5 volte più di me, che prendo 5 volte più del minimo, quanto contribuisce? Contribuisce in modo proporzionale e progressivo, come dice la Costituzione? E i dirigenti privati e pubblici che guadagnano 100 o 1000 volte il salario medio di un operaio, non si vergognano dei “salari d’oro”, che i loro colleghi 50 anni fa neppure immaginavano? E i consulenti?
Il presidente Obama (che non è un pericoloso sovversivo) ha fatto un discorso serio su chi può e deve contribuire: credo che lo stesso possa valere anche per l’Italia.
2 luglio 2011. Caterina De Camilli Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.