Immaginate un bambino che ha sofferto di mal di denti tutta la notte. Per la prima volta va dal dentista, da cui si sente dire: “Non avere paura, non sentirai dolore!”. Se fosse mio figlio cambierei dentista. Se usi parole come “paura” e “dolore” non riuscirai a mettere un ago nella bocca di un bambino, a meno che non pratichi la sedazione. Con parole come queste: “Per curare la carie del tuo dente dobbiamo addormentarlo spruzzando un liquido amaro, sentirai come un pizzicotto fastidioso per un attimo” sposti l’attenzione del bambino su “liquido amaro, pizzicotto fastidioso, un attimo” inducendolo a pensare che per il bene del suo dentino può sopportare questi “fastidi”;
il genitore che vede il dentista armeggiare una siringa di acciaio luccicante fuori dal campo visivo del bambino, si spaventa e interviene per preparare il suo caro figliolo: “Vedrai che adesso ti buca con l’ago, ma non sentirai dolore”. Il bambino sente e immagina solo “ago, dolore” e chiude la bocca. Cambiare genitori non si può!
Quando abbiamo paura il cervello fatica a razionalizzare e tende a funzionare per immagini evocate da ricordi, sensazioni o parole. La parola “dolore” evoca immagini ancestrali o legate ad esperienze, credenze e vissuti che non hanno niente a che vedere con un dentista che non hai mai visto.
Informazioni chiare e certe aiutano a definire l’oggetto della paura e a trovare strategie razionali che trasformano la paura in uno strumento e in una guida efficace. Se le informazioni sono confuse e l’oggetto della paura non si vede e non si tocca (come un virus) allora cresce l’angoscia che non è una buona guida. Il termine psicosi, cosi abusato (usato troppo e in modo improprio) in questi giorni, andrebbe riservato a uno specifico quadro psicopatologico e non alla paura fisiologica di epidemie che ci può essere utile.
Questo coronavirus è una novità per mortalità, contagiosità, risposta del sistema immunitario. La scienza non conosce ancora molte cose. Se manca la conoscenza prevalgono i pregiudizi, valori, ideali, credenze della nostra cultura e come ci vengono presentate.
Mentre sullo schermo scorrono immagini di megalopoli spettrali e deserte con umani dentro scafandri che sparano gas in stile Ghostbusters, blocchi di polizia, tende fuori dagli ospedali, capannoni con centinaia di posti letto, mappe del mondo con puntini rossi sempre più grandi (soprattutto nella nostra regione), irrompe la dichiarazione delle autorità: “Niente panico, siamo preparati ad affrontare la situazione, state tranquilli è tutto sotto controllo, muoiono prevalentemente anziani già malati”. Cambiare autorità in questo periodo non è opportuno, ma si può cambiare canale o spegnere la tv, perché difficilmente avrai informazioni utili dopo queste premesse.
È come dire al bambino: “Stai tranquillo!” mentre sente urla disperate dallo studio accanto.
Quando fanno giri complessi di parole per spiegare i nuovi criteri per ottenere dati sui contagi, comprendi come è facile manipolare i dati e difficile interpretarli. Quando la comunicazione non è chiara e si contraddice si ha l’impressione di essere presi in giro. Anche a noi adulti, come per il bambino, basta scoprire una sola bugia per non fidarsi più. Se mi dici che non mi fai male e poi sento male, non ti ascolto più
Per tutto gennaio ci siamo subiti politici in primo piano sui social e in televisione a dirci che l’Italia aveva preso le misure più restrittive del mondo. La Farnesina mentre diceva in televisione di aver bloccato i voli dalla Cina, al telefono consigliava personalmente le triangolazioni per arrivare in Italia senza controlli e senza obblighi di quarantena. Salvini attaccava il governo per aumentare consensi puntando ad elezioni anticipate. Temevamo che l’epidemia arrivasse coi barconi dall’Africa, invece il principale focolaio si è diffuso in una zona ricca di piccole aziende che commerciano con la Cina e nel pronto soccorso di un ospedale lombardo (i due focolai principali dell’epidemia sono nelle due zone più produttive del mondo). La sinistra buonista accusava di razzismo e discriminazione chi chiedeva la quarantena per chi rientrava dalla Cina: sarebbe stato il modo migliore (forse l’unico) per evitare la diffusione del virus in Italia. Ora non ci rimane che tentare di rallentare la velocità del contagio per non intasare gli ospedali e i circa 5000 posti di terapia intensiva disponibili in tutta Italia. Nella prima fase di diffusione è fondamentale individuare i focolai e interrompere le catene di contagio. Anche a questo processo razionale e utilissimo è stato dato un nome improprio: “caccia all’untore” come se il problema fosse discriminare i contagiati, piuttosto che rallentare l’epidemia.
Più per opportunità che per vergogna i politici si sono fatti da parte lasciando spazio a virologi, consulenti OMS, economisti. Finalmente la scienza ci dirà come reagire in modo razionale!? Nel mese di febbraio dopo l’allarmismo iniziale, sono passati a cercare di tranquillizzarci perché l’allarme rallenta l’economia e distrugge la reputazione internazionale. Alcuni dicono che è una normale influenza, altri che è come la peste e la spagnola e peggio dell’asiatica. Alcuni sottolineano la bassa mortalità (1-3%) e che 80 % dei contagiati non ha più di lievi sintomi. Alcuni virologi americani sostengono che è ormai inevitabile la pandemia e che entro la fine dell’inverno 2021 dal 40 al 60% della popolazione mondiale sarà stata contagiata (per ora non abbiamo certezze sull’immunità dato che sono segnalati casi di persone nuovamente positive dopo la guarigione). L’aritmetica ci dice che 2% di 4 miliardi = 60 milioni.
Essendo un virus nuovo è difficile fare previsioni precise. Siamo in difficoltà già in Europa ad avere il numero reale di contagiati e morti, figuriamoci in Africa, nei paesi più poveri e nei regimi totalitari. Finchè non lo trovi coi tamponi, il virus non esiste. Comunque è sicuro che il numero di morti sarà proporzionale alla velocità con cui si propaga il virus.
È preferibile bloccare le scuole e il paese o aumentare il numero di morti anziani malati cronici e intasare tutte le attività degli ospedali?
Da un punto di vista economico entrano in gioco vari fattori: diminuzione della produttività globale; sviluppo di nuovi settori legati al controllo di epidemie (vaccini, dispositivi di protezione individuale, disinfettanti); diminuzione del turismo e del traffico aereo, aumento del consumo dei servizi fruibili stando chiusi in casa. Credo che sul lungo periodo non cambi molto l’andamento dell’economia, la borsa avrà il solito rimbalzo dopo la crisi, che fa perdere soldi ai risparmiatori e guadagnarne agli speculatori (il machine learning consente alle macchine adibite alle transazioni finanziarie on line di essere più veloci ad adattarsi a fenomeni nuovi elaborando algoritmi efficaci per sfruttare le variazioni del sistema nel tempo di un click); soffriranno le piccole imprese per cui il calo di produttività e di fatturato di qualche mese può mettere in crisi l’azienda; soffriranno le aziende legate al turismo; miglioreranno i conti dell’Inps; diminuirà il traffico e l’inquinamento e la produzione di co2 e il trend del global warming (dobbiamo ammettere che il coronavirus avrà un effetto sui cambiamenti climatici molto più positivo di migliaia di conferenze come il COP25 e forse anche di Greta Tunberg).
Virologi, epidemiologi ed economisti ci forniscono un quadro molto complesso e imprevedibile. Di certo è molto più semplice la posizione degli imprenditori : “Fateci lavorare altrimenti chiudono le aziende”; non viene considerata la salute e il benessere della popolazione, ma almeno è un punto di vista chiaro che vede il benessere dell’azienda prioritario e necessario per il benessere degli umani.
Con tutte queste informazioni contrastanti e con la scienza che non può darci ancora informazioni sicure ed esaurienti finisce che ciascuno continua a pensarla come prima e si aggrappa alle informazioni che rinforzano le proprie convinzioni.
È stato interpellato un fisico esperto di analisi di sistemi complessi (Alessandro Vespignani) e la semplicità della sua sintesi è spiazzante: se un portatore contagia più di una persona, in modo esponenziale aumenteranno il numero dei contagiati, dei malati che non possono ricevere cure ospedaliare e intensive e dei morti (facendo a mano dei conti astratti mi risulta che se ogni contagiato contagiasse altre due persone nel giro di una settimana ci vorrebbero 25 settimane per contagiare tutti gli italiani; se ognuno ne contagiasse 7 basterebbero circa 9 settimane. Il picco dei contagi si dovrebbe avere in teoria quando è contagiata metà della popolazione; in Cina ci hanno messo due tre mesi. Le previsioni fatte dagli epidemiologi su scala globale non arrivano a risultati sostanzialmente diversi).”Quindi se vogliamo contenere il numero di morti e di malati che non ricevono cure, l’obiettivo è che ciascun portatore non contagi più di una persona”. La soluzione è limitare il più possibili i contatti ravvicinati tra persone in tutte le zone in cui sono presenti potenziali portatori. Se un contagiato contagia più di una persona in una settimana scatta il fattore esponenziale che in un mondo globalizzato significa pandemia in pochi mesi. 25 bambini in classe proprio perché la malattia per loro è subdola diventano 25 portatori sani nell’arco di una pausa mensa.
Ai primi di marzo gli ospedali lombardi sono già al massimo del regime con turni del personale al limite della resistenza umana e i posti in rianimazione sono quasi esauriti. L’epidemia si diffonde nel mondo con le stesse dinamiche viste in Cina e in Italia. In televisione non si vedono quasi più ne i politici ne i virologi costretti ad approvare misure draconiane impopolari.
Quando di fronte a tardive ed insufficienti misure per contenere l’epidemia emerge nella popolazione “il bisogno di tornare alla normalità” mi arrabbio perché sembra che il problema siano le soluzioni per contenere l’epidemia. Il problema è la normalità!!!!
Sono gli stili di vita e le abitudini normali a fornire le condizioni ideali per lo sviluppo e la diffusione di epidemie: allevamenti intensivi in cui migliaia di animali crescono senza spazi vitali, con alimentazione scadente, perennemente malati e ciclicamente sotto terapia antibiotica (non c’è sistema più efficace per selezionare microrganismi resistenti mortali per l’uomo); la perdita di biodiversità di specie vegetali e animali favorisce la diffusione di epidemie e rappresenta un problema per la sopravvivenza della specie umana almeno pari ai cambiamenti climatici (IPBES 2019: organismo scientifico globale delle Nazioni Unite); asili e scuole in cui è considerato normale se non addirittura fortificante farsi due o tre virus gastrointestinali all’anno (in passato la diffusione dei virus gastrointestianli avveniva in un solo ristretto periodo dell’anno, ora girano perennemente), l’influenza e alcuni raffreddori. Certo sono patologie lievi che si risolvono in qualche giorno ma salute non significa assenza di malattia ma benessere personale e collettivo. Abituarsi a convivere con virus con bassa morbilità riduce la qualità della vita del singolo ed è pericolosissimo sui grandi numeri perché essendo i virus molto mutevoli possono in qualsiasi momento diventare letali per la specie umana. Stiamo scherzando con il fuoco. Accettare questa normalità significa accettare la necessita di sempre più numerose vaccinazioni. Non fare 12 vaccinazioni nei primi giorni di vita ai polli di allevamento significa esporre l’allevamento a livelli di mortalità elevatissimi. O si cambiano gli allevamenti o si vaccina a tappeto. Per noi oggi è la stessa identica cosa. Anche io sono scettico con politiche di vaccinazione che prevedono 10-12 vaccini nel primo anno di vita, ma se oggi ci sono ancora dei posti liberi in ospedale dobbiamo ringraziare chi si è vaccinato contro l’influenza: un vaccino con efficacia molto limitata, diversi effetti collaterali, da rifare tutti gli anni, ma che per un sistema sanitario come il nostro è utile come per i polli d’allevamento. Siccome è una canzone vecchia vi parlo allora di conigli.
Secondo voi un coniglio sta meglio in una gabbia con 2 o 3 amici o in una gabbia da 30 posti stretti? Preferisce mangiare da solo coi fratelli o in una mangiatoia affollata e rumorosa con altri 200 conigli? Dove è più probabile che si ammali e dove ha un livello di benessere maggiore? Quello che vale per un coniglio dovrebbe a maggior ragione valere per una specie che richiede accudimento personalizzato e scolarizzazione dei suoi cuccioli per un periodo di quasi 20 anni (homo sapiens)
Cosa cambiare allora terminata l’emergenza? Cosa ci insegna il coronavirus?
X diminuire la probabilità che si selezionino microrganismi dannosi per l’uomo dobbiamo rivedere completamente il rapporto tra gli esseri umani e il pianeta in cui sono ospitati con tutti gli altri esseri viventi vegetali e animali. Il nostro benessere è in relazione con il benessere di tutte le altre specie e dipende dal livello globale di biodiversità. Le monoculture che non rispettano gli equilibri della terra e gli allevamenti intensivi creano stress nell’ecosistema dannosi per tutti. Vanno rivisti completamente i modello dominanti dell’agricoltura e dell’allevamento industriale. Se non vogliamo sterminare quote di popolazione umana per ridurre la sovrappopolazione, dobbiamo ridurre drasticamente il consumo di carne e pesce. Se proprio vogliamo continuare a mangiare animali dovremmo essere obbligati ad allevarli in condizioni che rispettano la loro natura e il loro benessere.
X diminuire la diffusione di epidemie, dai banali raffreddori a quelle più letali, dobbiamo riconsiderare le modalità di interazione sociale e le dimensioni delle comunità. Non dobbiamo inventarci niente, ma riscoprire le modalità più naturali e adatte alla nostra specie.
In un mondo dominato da assurde leggi economiche prevalgono l’omologazione e l’accorpamento in grandi gruppi. Asili e scuole con classi di 30 bambini, spazi di ricreazione e mense da 300 posti non funzionano per mille motivi: chi ha esperienza di qualsiasi tipo di lavoro di gruppo conosce le mille limitazioni che si hanno lavorando in gruppi maggiori di 10 unità: continua diffusione di malattie che penalizzano i soggetti fisicamente più deboli e sensibili; impossibilità di valorizzare le eccellenze e aiutare chi è in difficoltà; impossibilità di formazione ed educazione personalizzata; impossibilità di instaurare rapporti affettivi profondi; mediocrazia.
L’unica funzione che una scuola di questo tipo assolve con un buon rapporto costo benefici è quella di parcheggio per bambini, per consentire ai genitori di rimanere ancorati al sistema produttivo e guadagnare lo stipendio necessario per vivere. Secondo voi mamma coniglio se potesse scegliere lascerebbe il suo cucciolo per 8 ore al giorno (12 dorme, ne rimangono 4) in una gabbia con 30 coetanei e a mangiare in una mangiatoia da 200? Purtroppo non possiamo scegliere ne noi ne mamma coniglio.
Se vivessimo ancora in piccole comunità potremmo fare come tutti gli altri animali che si spulciano a vicenda, si annusano dappertutto e si scambiano liquidi. Queste abitudini avrebbero delle funzioni sociali e di promozione della salute del gruppo. Dato che ci avviamo molto velocemente a superare gli 8 miliardi, abitudine come queste hanno delle complicazioni e noi dobbiamo adattarci. In televisione ci dicono che le mascherine chirurgiche non servono a niente e che quelli che le mettono sono degli psicotici. Ma allora in Giappone, Iran, Cina, Corea, sono tutti psicotici. Quando è in atto un epidemia sarebbe educato non dare la mano, non baciarsi e stare a distanza di un metro e mezzo. Sono gli altri intrepidi che dovrebbero vergognarsi del loro comportamento incivile e irrispettoso dei più deboli, Tutte le specie quando aumentano di numero raggiungono un limite oltre il quale si mette a rischio la sopravvivenza della specie o comunque costringe a ridurre i numeri. Difficile stabilire per la specie umana quale sia questo limite, ma credo che se non cambiamo abitudini e riduciamo il nostro impatto sul pianeta rischiamo di avvicinarci in fretta.
Ho un amico che a differenza di me usa pochissime parole. Senza chiedere niente in cambio ha preparato una cena a base di frutta e verdura fresca prevalentemente cruda, dall’antipasto al dolce. Non avevo mai assaporato una cosi ampia varietà di sapori e profumi ottenuta rispettando e valorizzando la natura di ingredienti semplici ma ricercati nella qualità (metodo di coltivazione, freschezza, grado di maturazione). Materia viva, spirito e informazioni veicolate attraverso un esperienza pratica che attraversa e rigenera il corpo. Non per caso l’alimentazione consigliata da quasi tutti quelli che praticano meditazione. Una cena ha cambiato delle mie abitudini in modo più efficace di mille conferenze ideali e parole.
Con le competenze, le conoscenze e le sensibilità che ci sono nel nostro gas sarebbe bello trovarci in piccoli gruppi per condividerle, magari rispettando i tempi con cui la natura ci fornisce generosamente (se non la maltrattiamo) i suoi frutti. La festa del cavolo cappuccio o delle fragole o delle arance, tutte ricchi di antivirali naturali. Ma la nostra normalità è che in settimana siamo stanchi per tutti gli impegni lavorativi e familiari e il calendario dei fine settimana è già occupato da feste e incontri fino a settembre.
Abbiamo troppa paura delle epidemie?
Io credo che abbiamo troppa paura di fermare questa economia retta da principi assurdi e disumani anche solo per 2 settimane (il virus richiede due o tre mesi), poco coraggio e fantasia per cambiare, troppa paura di fermarci e ascoltarci in silenzio.
Ora sto zitto anche io.
Grazie per l’attenzione
Dario B.