Mobbing: non sono i ricorsi del lavoratore ad essere ricatti: lo sono le minacce di provvedimenti disciplinari, licenziamento e altre ritorsioni da parte dell’azienda. Quanta disinformazione, fake news, falsità e strumentalizzazioni sul diritto sacrosanto del lavoratore a difendersi e a chiedere il rispetto dei propri diritti umani e professionali. Soprattutto da parte dei mobber più accaniti, senza scrupoli e professionalmente impreparati, e dei loro peggiori complici, dipendenti – collaboratori o, come noto,
persino in certi casi personaggi marginali esterni in cerca di impossibili briciole di visibilità e importanza, quando il mobbing diventa pure esterno e si trasforma pure o si intreccia con lo stalking.
Anzi, definire “ricatto” l’azione legale da parte del lavoratore a difesa dei propri diritti, costituisce una forma di calunnia, diffamazione, insulto e a sua volta è ricatto reale essa stessa. Una sorta di ricatto morale e una minaccia di discredito verso il dipendente, che, affermano così i mobber e i loro complici, non potrebbe e non dovrebbe nemmeno pensare di difendersi in alcun modo: dovrebbe subire, in silenzio, e rinunciare a qualsiasi legittima pretesa, risarcimento riconoscimento di danni e così a qualsiasi diritto.
Senza entrare troppo nel merito della pochezza umana e professionale di mobber e complici che sostengono tali strampalate, false e offensive “teorie”, abbiamo quindi deciso di riprendere la questione, segnalando la precedente notizia sull’argomento, e il cui link originale è in fondo a questo articolo: A proposito di mobbing: le azioni legali del lavoratore non sono minacce né ricatti. E invitando di nuovo coloro che non lo avessero già fatto, a firmare e far firmare la Petizione Fede e Ragione per una Legge contro il mobbing su Change.org., che ad oggi è arrivata ad oltre 66mila firme, e per la quale organizzeremo altre iniziative in queste settimane.