di Tonina Santi
In Italia la questione della conciliazione per favorire il lavoro femminile nasce nel 1991 con la legge 125, nella quale si prevede l'adozione di misure atte a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità: le azioni positive, appunto. Si riconosce dunque che il sistema organizzativo del mondo del lavoro e le politiche sociali devono realizzare innovazioni aziendali, anche in termini di orari e servizi di sostegno – dai nidi ai servizi scolastici - alle madri lavoratrici. Alle famiglie insomma.
Dopo 22 anni, rispetto a questo tema, possiamo dire che sulla conciliazione non si sono fatti significativi passi avanti.
Per per quest'anno, l'INPS, ha previsto, in attuazione della riforma Fornero 2012, una distribuzione di voucher di 300 euro al mese per ogni periodo di rinuncia ai congedi parentali, fino a un massimo di sei mesi, alle lavoratrici madri per l'acquisto di “baby sitting” o per far fronte al costo dei servizi pubblici o privati per l'infanzia. Il tutto fino a esaurimento del fondo col quale si potranno soddisfare poco più di 11.000 famiglie a fronte di un fabbisogno di 250.000 lavoratrici madri. Quindi non per tutte. Occorre presentare una domanda per via telematica e andare al Caf per provare che sei veramente povera. Sì, perché più povera sei, più avrai possibilità di vincere questa sorta di lotteria. La maternità trattata a forza di bonus in faccia. Una tantum. E beate quelle famiglie che riusciranno ad ottenerli.
Anche la Regione Lombardia ha previsto una “dote conciliazione”, tramite un apposito bando, destinata alle micro, piccole, medie, grandi imprese, e grande distribuzione a fronte di progetti che favoriscano la conciliazione. La dote è costituita da 200 euro al mese per un massimo di otto mesi, e via distribuendo in tanti rivoli, incontrollabili, il denaro pubblico: ossia, il nostro. Nulla sappiamo di altre regioni.
E' così che si preferisce fare in Italia, ciascuno per proprio conto. La voglia di maternità scarseggia, anche per le difficoltà che le donne incontrano per conciliarla con l'attività lavorativa, mentre i nostri politicanti mantengono la convinzione che l'arte dell'arrangiarsi sia il miglior ammortizzatore sociale. Cosa significa distribuire buoni una tantum, non per tutte, con l'aiuto di un Caf per dimostrare il reale grado di disagio sociale, e accontentarsi della grazia ricevuta se si riesce a rientrare nel novero delle famiglie “privilegiate”? E quante famiglie ne hanno, ne potranno usufruire?
Le politiche famigliari in Italia si susseguono in questo modo: un po' di soldi per poter conciliare tra vita e lavoro; un po' di soldi per i servizi all'infanzia; un po' per la “dote scuola” per avere qualche libro gratuitamente; un po' di soldi per la “dote lavoro”, per chi ce la fa ad ottenerla; altri soldi per chi manderà i propri figli alle scuole private messe in condizioni, col contributo pubblico, di dare di più in termini di orari e servizi.
Potremmo sentirci un po' più europei ed europee, come spesso ci si chiede, se i vari governi avessero adottato leggi e comportamenti dell'Europa migliore, quella che sostiene in modo strutturale la lavoratrice madre, che non può essere trattata una tantum e a chi tocca tocca: vorremmo assomigliare a quell'Europa che considera la maternità un valore sociale: perché conviene alla società tutta.
Non accontentiamoci. Da troppo tempo accettiamo di essere l'anello inferiore di quell'Europa a cui dovremmo essere orgogliose di appartenere. Per passare dall'elargizione una tantum al diritto, servirebbero leggi che definiscano in modo strutturale le politiche famigliari relative alla conciliazione, per tutte le lavoratrici italiane.
Ora, si plaude, e giustamente, all'aumento significativo della presenza femminile in Parlamento. Ma sapranno le tante parlamentari scomodare i partiti che le hanno nominate inducendoli ad andare oltre il loro consueto sguardo? Il loro “ben altro da fare”?
Noi donne, che abbiamo tanto lottato per il raggiungimento di questo traguardo, vorremmo che la fedeltà al proprio partito potesse coincidere con la fedeltà al proprio essere donna e alle donne italiane.
Penso sia giunto il momento di saper indicare alla politica odierna i temi su cui vogliamo sia finalmente rivolto lo sguardo. O preferiamo attendere altre indecenze berlusconiane per tornare ad indignarci?