Dal 10 dicembre potrà svolgersi l'ultima votazione alla camera. E' essenziale fare il possibile perchè non si raggiunga la maggioranza dei due terzi in modo da consentire un referendum sul disegno di legge.
L'impressione è che si stia sottovalutando la portata della questione che sta passando in sordina. E' il momento, senza retorica, di fare appello alla massima unità. Il percorso di opposizione alla riforma sarà lungo ed è necessario prepararsi.
Di seguito un pò di rassegna stampa. Allego anche il documento di JPMorgan che a pagina 12 attacca frontalmente le costituzioni europee.
Un caro saluto,
Massimo Lozzi
Comunicato dei promotori
Quattro soli voti hanno permesso l'approvazione al Senato del disegno di legge sulla modifica dell'articolo 138 della Costituzione con quella maggioranza dei due terzi che impedisce ai cittadini di chiedere il referendum.
È emerso così, con assoluta chiarezza, che la forzatura costituzionale non raccoglie neppure il pieno consenso della maggioranza che vuole imporla.
È un dato politico di cui tutti dovrebbero tener conto e che conferma la necessità di seguire la "via maestra" del rispetto e della attuazione della Costituzione indicata dalle migliaia di persone che hanno partecipato alla manifestazione del 12 ottobre.
In seguito all'esito del voto in Senato e come annunciato il 12 ottobre, la "Via maestra" chiede di incontrare al più presto i presidenti del Senato e della Camera.
I promotori de "La via maestra"
**************
I voti del pd
I soliti 101 del Pd Solo 5 ribelli su 106
I CONTRARI Su 107 senatori dem (108 con il presidente Pietro Grasso, che però non vota) 101 hanno votato a favore al ddl costituzionale. Solo cinque non hanno detto sì. Felice Casson si è astenuto. Quattro non hanno partecipato al voto, pur essendo in aula: Silvana Amati e Walter Tocci (astenuti, l’11 luglio scorso) poi Renato Turano e Corradino Mineo, che ha spiegato in aula il suo sostanziale no. Assente Marco Filippi (in missione). Cuomo; Erica D’Adda; Emilia Grazia De Biasi; Mauro Del Barba; Isabella De Monte; Rosa Maria Di Giorgi; Nerina Dirindin; Stefano Esposito; Camilla Fabbri; Emma Fattorini; Nicoletta Favero; Valeria Fedeli; Elena Ferrara; Rosanna Filippin; Anna Finocchiaro; Elena Fissore; Federico Fornaro; Maria Grazia Gatti; Rita Ghedini ; Francesco Giacobbe; Nadia Ginetti; Miguel Gotor; Manuela Granaiola; Maria Cecilia Guerra; Paolo Guerrieri Paleotti; Josefa Idem; Nicola Latorre; Stefano Lepri; ; Bachisio Lai; Sergio Lo Giudice; Doris Lo Moro; Carlo Lucherini; Giuseppe Lumia; Patrizia Manassero; Luigi Manconi; Andrea Marcucci; Salvatore Margiotta; Mauro Maria Marino; Claudio Martini; Donella Mattesini; Giuseppina Maturani; Claudio Micheloni; Maurizio Migliavacca; Marco Minniti; Franco Mirabelli; Mario Morgoni; Claudio Moscardelli; Massimo Mucchetti; Pamela Orrù; Venera Padua; Giorgio Pagliari; Annamaria Parente; Carlo Pegorer; Stefania Pezzopane; Leana Pignedoli; Roberta Pinotti; Luciano Pizzetti; Francesca Puglisi; Laura Puppato; Raffaele Ranucci; Lucrezia Ricchiuti: Gianluca Rossi; Francesco Russo; Roberto Ruta; Angelica Saggese; Gian Carlo Sangalli; Giorgio Santini; Francesco Scalia; Annalisa Silvestro; Pasquale Sollo; Lodovico Sonego; Maria Spilabotte; Ugo Sposetti; Salvatore Tomaselli; Giorgio Tonini ; Mario Tronti; Stefano Vaccari; Daniela Valentini; Vito Vattuone; Francesco Verducci; Luigi Zanda; Magda Zanoni; Sergio Zavoli.
I FAVOREVOLI Donatella Albano; Ignazio Angioni; Bruno Astorre; Maria Teresa Bertuzzi; Amedeo Bianco; Daniele Gaetano Borioli; Claudio Broglia; Filippo Bubbico; Massimo Caleo; Laura Cantini; Rosaria Capacchione; Valeria Cardinali; Vannino Chiti; Monica Cirinnà; Roberto G. G. Cociancich; Stefano Collina; Paolo Corsini; Giuseppe Cucca; Vincenzo
------------
PD, L’ALTRO GOLPE DEI 101
di Antonio Padellaro
Apagina 4 troverete l’elenco dei 101 - numero maledetto -senatoridelPdchehannovotato (e dei 6 che non hanno votato) la modifica dell’articolo 138 della Costituzione, approvando il grimaldello che consentirà il rapido stravolgimento della Carta fondamentale dei nostri diritti e dei nostridoveri.Lohannofattomalgrado i pressanti appelli di giuristi,movimentiesemplicicittadini che non chiedevano la luna, ma un semplice atto di decenza democratica: dicessero pure sì, se proprio erano costretti, alla norma-grimaldello; ma senza la maggioranza dei 2/3, in modo da consentire il referendum sul disegnodileggecomeprevistodalla Costituzione. Ieri, però, nell’aula di Palazzo Madama, quei 101 senatori del partito che si definisce democratico hanno (al fianco del Pdl berlusconiano) volutamente calpestato il principio scolpito nel primoarticolodellaCostituzione: che cioè la sovranità appartiene al popolo. Per soli 5 voti, perciò, niente consultazione popolare, ma una miserevole operazione di palazzo di cui i 101 non dovranno rendere conto agli elettori, bensì aipadrinipoliticichelihannonominati grazie alla legge Porcata. A dicembre, quando toccherà alla Camera il voto definitivo al grimaldello, si dovrà in tutti i modi possibili garantire la consultazione popolare. Il Fatto metterà in campo le 450mila firme raccolte quest’estate. Forse non basterà, ma non daremo tregua ai responsabili di questo squallido golpe.
******
Il “no” della Cgil: referendum se scatta il presidenzialismo
di Salvatore Cannavò
Nel giorno in cui il Pd blinda la riforma dell’articolo 138 della Costituzione la Cgil decide di dichiarare con nettezza la propria “contrarietà”. In una nota diramata subito dopo il voto del Senato, a firma del segretario confederale Danilo Barbi, il sindacato di Susanna Camusso dichiara il suo “no” al provvedimento “che vuole promuovere un processo di riforma della Costituzione, introducendo un procedimento speciale che ignora quanto disposto dalla stessa Carta per le modifiche costituzionali, derogando alla normale procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione”. Raggiunto dal Fatto, Barbi ribadisce le critiche: “La modifica del 138 è sbagliata soprattutto perché è una deroga e questo concettualmente è grave”. La critica non si spinge, come avevano fatto i promotori della manifestazione del 12 ottobre, fino a richiedere un referendum sulla legge approvata al Senato, cioè sul fatto stesso di modificare l’articolo 138. “Non pensiamo che sarebbe comprensibile una consultazione sul ‘come’ si decide”, precisa Barbi. Ma sul merito, la Cgil si dichiara fin d’ora contraria “senza se e senza ma” a qualsiasi introduzione del semipresidenzialismo nel nostro regime costituzionale. “Non vogliamo passare per conservatori” spiega ancora Barbi, “e quindi proponiamo anche noi riforme compatibili con il 138 come, ad esempio, il monocameralismo”. Ma i “valori fondamentali” della Carta saranno difesi “fino al referendum”. “Nel 2006 abbiamo dimostrato, tra le esitazioni della sinistra politica, che la Cgil è in grado di condurre a vittoria una consultazione referendaria. Siamo determinati a farlo di nuovo”.
L’atteggiamento rispetto al Pd appare più di pungolo e pressione che di contrapposizione senza attacchi diretti. Nonostante ribadisca la volontà di “allargare” un grande movimento di difesa della Costituzione, quindi, la Cgil sembra ancora distante dalle posizioni di chi ha promosso la manifestazione del 12 ottobre.
I CINQUE PROMOTORI di quella giornata, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, Maurizio Landini, Lorenza Carlassare e don Luigi Ciotti, sono tornati a riunirsi ieri. Un incontro, il primo dopo la manifestazione di dieci giorni fa, per decidere come andare avanti ma anche per stigmatizzare la decisione del Senato. Sottolineando che la maggioranza dei due terzi, necessaria a evitare il referendum, è stata superata di “quattro soli voti”, i promotori de La via maestra sottolineano come “la forzatura costituzionale non raccoglie neppure il pieno consenso della maggioranza che vuole imporla”. Da qui, la richiesta di rispettare l’articolo 138 e l’indicazione delle “migliaia di persone che hanno partecipato alla manifestazione del 12 ottobre. Nei prossimi giorni verrà presentata anche una riforma organica della Costituzione, nel rispetto della stessa Carta, e si darà vita a quell’incontro con i presidenti di Camera e Senato funzionale alla consegna delle 446 mila firme (a ieri sera) in calce all’appello per la difesa della Costituzione pubblicato dal Fatto.
Se e come l’iniziativa dalla Cgil e quelle del Comitato “12 ottobre” possano o meno incontrarsi è difficile da dire. La differenza di fondo resta proprio l’utilizzo del referendum. Consultazione sul 138 per Rodotà e compagni, disponibilità al referendum ma solo sul contenuto definitivo della riforma per la Cgil che, infatti, annuncia che “vigilerà sui lavori della Commissione parlamentare che sarà istituita”. Una posizione in sintonia con l’Anpi che ieri ha organizzato un sit-in davanti a palazzo Madama e che nel Consiglio nazionale dello scorso fine settimana ha ribadito la giusta decisione di non partecipare al 12 ottobre. Anpi e Cgil puntano a rilanciare il comitato “Salviamo la Costituzione” che promosse il referendum del 2006. Solo che il presidente di quel comitato, Alessandro Pace, è lo stesso che ripete in continuazione quanto sia grave la modifica del 138, invitando a muoversi su questo punto al più presto.
*************************
Il baratto che chiude la porta al referendum
EDITORIALE /2 - Massimo Villone
Massimo Villone
Il primo episodio del reality sulla riforma della Costituzione si è concluso oggi in Senato. In seconda deliberazione, 218 voti favorevoli a un Comitato parlamentare per le riforme e un procedimento speciale di revisione, sul quale sono stati da più parte sollevati dubbi di incostituzionalità. I sì hanno superato solo di quattro - con numerose defezioni - la soglia dei due terzi dei componenti dell'Assemblea. Soglia - si badi - non necessaria ad approvare il disegno di legge, per cui sarebbe bastata la metà più uno dei componenti. Necessaria, invece, per l'effetto collaterale voluto di impedire richiesta di referendum popolare ai sensi dell'art. 138 della Costituzione. CONTINUA|PAGINA15
Si passa ora alla Camera, dove però il sovrabbondante - e incostituzionale - premio di maggioranza garantisce numeri tali da rendere agevole il raggiungimento dei due terzi. Il bavaglio al popolo sovrano è stato messo oggi.
Dunque la caccia al voto degli ultimi giorni tendeva all'obiettivo genuinamente democratico di porre argine a un referendum? Proprio così. E perché era tanto importante cucire le bocche? Soprattutto considerando che lo stesso prevede che sulla riforma eventualmente approvata il referendum sia possibile qualunque sia la maggioranza conseguita. Creando il curioso paradosso che il popolo sovrano potrà domani comunque pronunciarsi sulla riforma della Costituzione eventualmente approvata, ma si vede oggi dolosamente negato il diritto di pronunciarsi sul come quella riforma debba venire in essere. Che senso ha?
Dal punto di vista della democrazia o dell'esigenza di avere una Costituzione solida e radicata nel consenso popolare, non ha ovviamente alcun senso. Ma aprire la porta al referendum avrebbe scardinato il cronoprogramma di riforma della Costituzione annunciato con grande pompa dallo stesso governo, e assunto a fondamento e ragione primaria dell'esistenza stessa dell'esecutivo. Tra richiesta referendaria e voto popolare, un ritardo di circa un anno. Mentre riformare la Costituzione entro i diciotto mesi dichiarati nel programma di governo è la polizza-vita dell'esecutivo.
Non desta meraviglia che una parte del paese consideri tutto ciò esecrabile. Non può esserci baratto tra un qualsiasi governo e la Costituzione. E ci sono punti che colpiscono profondamente e dolorosamente le coscienze di chi alla Costituzione crede. Che si voglia a ogni costo la riforma in un momento di profondo degrado della politica. Che il radicamento e la legittimazione delle forze politiche che sostengono il disegno riformatore siano e rimangano ai minimi. Che il parlamento in ipotesi sostanzialmente costituente sia in assoluto quello meno rappresentativo della storia repubblicana. Che quello stesso parlamento sia in specie gravemente distorto da artifici maggioritari che forniscono i numeri necessari per la riforma. Che i problemi del paese siano con ogni evidenza altri, come dimostrano le impietose statistiche sulle condizioni di vita di gran parte degli italiani. Che le riforme proposte siano in buona parte inutili o dannose, come prova l'esperienza degli ultimi vent'anni. Che ci siano dissensi profondi su questioni cruciali, come la giustizia, per cui il ministro Quagliariello non ha perso l'occasione di sollecitare un'iniziativa del governo. Infine, che sia piuttosto la Costituzione dei diritti e dell'eguaglianza - quella sì - a richiedere con urgenza di essere attuata. Il mantra per cui certe riforme sono necessarie non basta a renderle davvero tali.
E non basta legare un governo a quelle "necessarie" riforme per renderlo un governo del fare. Supponiamo che il voto in Senato abbia indotto a Palazzo Chigi brindisi per lo scampato pericolo. Senza quei quattro voti di margine il re sarebbe stato nudo. Il polverone delle riforme non avrebbe più potuto fare da schermo alle insufficienze del governo nel rispondere con efficacia ed equità alla crisi che attanaglia il paese.
Ma non c'è da farsi illusioni. La ripresa rimane incerta e lontana, mentre sulla riforma si preparano settimane e mesi in cui fatalmente emergerà la volontà del governo di arrivare a un esito qualsivoglia, facendo leva sull'apparente tecnicismo delle proposte dei saggi, strozzando tempi e dibattito, sostituendo la finta emergenza di un cambiamento istituzionale a quella vera dei molti milioni che combattono la povertà, la disoccupazione, l'insufficienza dei salari e delle tutele per i più deboli. Una rappresentazione teatrale in piena regola.
Gli antichi Cesari sapevano bene che al popolo bisogna dare insieme panem et circenses. E dunque il governo si prepari. Oggi ha avuto i numeri parlamentari. Ma altra cosa sarà domani avere i consensi che contano davvero.
************
Democrack/ «QUELLI DELLA 'VIA MAESTRA' HANNO POCA FIDUCIA NEL PARLAMENTO»
Puppato: «Ho detto un sì critico Sarò la sentinella delle riforme»
ARTICOLO - Daniela Preziosi
Daniela Preziosi
Alle primarie del Pd del 2009 l'ha sostenuta il vicedirettore del Fatto Marco Travaglio; alle prossime primarie del Pd, a sua volta, sosterrà Pippo Civati. Ieri Laura Puppato ha dato un dolore ad entrambi, votando sì alla modifica dell'art. 138. E quindi non rispondendo - o, meglio, rispondendo no - all'appello di Rodotà e degli altri costituzionalisti a non votarla.
Puppato, alla fine ha votato sì?
Ma in dieci abbiamo firmato un documento che mette i puntini sulle 'i': le riforme serviranno a recuperare credibilità alla politica, rispondendo alla forte richiesta degli elettori di modificare il bicameralismo perfetto, di ridurre i parlamentari, cancellare le province e ridefinire le aree metropolitane. Ma diciamo no all'idea di modificare la forma di governo, al presidenzialismo, semipresidenzialismo e premierato forte, e di riformare la giustizia. Anna Finocchiaro, che guida la commissione competente, ci ha dato ampie garanzie su questo. E sul fatto che i referendum saranno su materie omogenee, a differenza di quello che è successo nel 2005.
Però lei ha partecipato alla manifestazione dei costituzionalisti della «via maestra» che chiedevano di votare no.
Votare no significava mettere un sasso all'ingranaggio delle riforme impedendo l'approvazione di quelle riforme che tutti noi riteniamo ineludibile. Ho dato un voto consapevole. Alla manifestazione c'ero andata per spiegare perché a luglio avevo già votato sì. Ora saremo le sentinelle contro i colpi di mano. E guardi, ci stiamo già riuscendo: grazie anche a quella manifestazione chi aveva intenzione di stravolgere la Costituzione si è reso conto che non c'è trippa per gatti.
Si poteva procedere senza deroga.
Sì, ma questa deroga rende poi obbligatori i referendum, anche se alle camere il sì sarà dei due terzi o oltre. Chi dice no dà più peso alla scarsa credibilità ai parlamentari rispetto alla possibilità di recuperare questa credibilità. Mi assumo la responsabilità di provarci.
Il professor Rodotà definisce la modifica del 138 «uno strappo alla Costituzione».
Per me non lo è. Vale solo per questa occasione e serve a accelerare alcuni passaggi.
Quelli della «via maestra» chiedevano almeno di non far raggiungere i due terzi dei sì, obiettivo mancato per soli quattro voti.
Hanno meno fiducia nel parlamento dei nostri padri costituenti, che chiedevano il referendum solo nel caso in cui i due terzi non si raggiungessero.
Magari i costituenti non immaginavano un parlamento eletto con un premio di maggioranza che potrebbe essere dichiarato incostituzionale dalla Consulta.
Se facciamo le riforme, recupereremo credibilità. E noi, ripeto, faremo da garanti al percorso delle riforme.
Fra quelli che hanno firmato con lei il documento 'critico' c'è però chi non ha partecipato al voto, come Walter Tocci. E anche Civati, suo candidato segretario, alla Camera ha votato no.
Rispetto tutti, ma guardi che al senato hanno votato no i falchi del Pdl. E quando il mio voto è diverso da quello di Nitto Palma tendo a pensare che ho votato bene.
Dal Pd ha ricevuto pressioni per votare sì?
Assolutamente no.
A proposito di Pdl, i no arrivano dai più contrari alle larghe intese. Che non piacciono neanche a lei. Non era l'occasione per dimostrarlo?
Bisogna scegliere: o stiamo in parlamento convinti che il nostro lavoro non abbia valore e sia ininfluente...
Perché ininfluente? Chi vota no dice solo che lo «strappo» al 138 è sbagliato.
Ma perché dovevo votare a una cosa di cui ero convinta? Ho scelto in base ai miei principi, non in base a quello che mi ha detto Zanda (il capogruppo Pd al senato, ndr) né a quello che dice la piazza.
Il suo candidato Civati non ha votato neanche la fiducia al governo.
Premesso che in quel momento non era ancora il mio candidato, e che comunque ciascuno ragiona con la sua testa, secondo me ha sbagliato. Tanto alla prima quanto alla seconda fiducia al governo.