Nel 1975 Bill Gates afferma: “Nel futuro vedo un computer su ogni scrivania e uno in ogni casa”. Nello stesso anno fonda la MICROSOFT corporation che gli consente di diventare l’uomo più ricco del mondo dal 1996 al 2009. Grazie alle sue abilità imprenditoriali riesce a cavalcare la rapida evoluzione delle tecnologie informatiche. Prima i computer erano delle enormi e pesanti macchine che occupavano interi locali e potevano essere usati solo da personale specializzato. Alcune aziende, come l’IBM, investono per aumentare la potenza, le capacità e la sicurezza di queste macchine. Altre puntano a renderle sempre più piccole, leggere, veloci e adatte a essere utilizzate con facilità e immediatezza da tutte le persone (personal computer). Un nome come “MICROSOFT “ indica chiaramente la strada scelta da B. Gates.
La sua storia prosegue tra successi commerciali, accuse di monopolio (sentenza antitrust U.E. 2004) e la creazione della Fondazione Bill & Melinda Gates (focalizzata a mettere in rete le biblioteche pubbliche e al miglioramento della salute globale: aids, malaria etc). Al Forum Economico Mondiale (Davos, 2008), Gates invoca l'inizio di una nuova era all'insegna del "capitalismo creativo". Per capitalismo creativo intende “un sistema in cui i progressi tecnologici compiuti dalle aziende non siano sfruttati semplicemente per la logica del profitto, ma anche per il benessere globale” (i “no global” rispondono appendendo uno striscione ironico: “ i creativi con i soldi salveranno il mondo?”).
Quello che nel 1975 era considerato fantascienza, oggi è già superato. Questi computer super veloci e potenti li possiamo portare in giro dentro le nostre tasche. Lo status symbol delle nuove generazioni non è più l’auto di lusso enorme e potente, ma la “mela morsicata”, logo della Apple (fondata nel 1976). I nuovi personal media possono essere, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo (spazio e tempo), connessi tra di loro, consentendo a miliardi di persone di comunicare, interagire e informarsi in rete. Lo psicopedagogista Bruner (1971) afferma che: “l'intelligenza è interiorizzazione degli utensili determinati da una data cultura … La costruzione di strumenti è una delle forze dell'umanizzazione e gli strumenti sono visti come amplificatori dei poteri umani”. Dopo l’età del fuoco, della pietra, del ferro … ora assistiamo alla rivoluzione informatica. “La trasformazione tecnologica ha portato con sé la trasformazione economica e sociale, nel passaggio dalla società dei mass-media alla società dei personal media, dove alla comunicazione uno-tutti si è sostituita la comunicazione molti-molti” (Lévy, 1990). Diversi cambiamenti sono già evidenti nella realtà quotidiana, ma l’adattamento dei nostri cervelli a questa evoluzione sembra subire le tipiche distorsioni del nostro tempo, dovute alle logiche del profitto. Senza spingersi negli scenari prospettati dal neofuturismo e dal transumanesimo (sono numerose e multidisciplinari le ricerche in corso riguardanti lo sviluppo di intelligenze “collettive” artificiali, umane e miste), basterebbe un po’ di fantasia per immaginare come un utilizzo più evoluto degli strumenti informatici possa determinare ulteriori e straordinarie trasformazioni nel campo della comunicazione, della politica e della cultura. Il potenziale rivoluzionario e “democratico” di tali strumenti sembra come bloccato o comunque non sfruttato per soddisfare i reali bisogni delle persone.
Potremmo estendere il discorso agli straordinari progressi tecnici verificatisi in altri campi: nell’agricoltura siamo passati dalla zappa a trattori super-tecnologici che svolgono automaticamente il lavoro equivalente a quello di 50 uomini, tuttavia siamo in piena crisi alimentare globale (dovuta solo parzialmente all’aumento demografico); nelle industrie si è avuto un notevole incremento della produttività con riduzione del bisogno di attività manuale, ma i benefici finiscono solo in poche mani; i notevoli progressi scientifici della medicina incidono solo per il 5-10% sul livello di benessere della popolazione mondiale (OMS 2012), aumentano a dismisura i fatturati delle case farmaceutiche, ma di fronte a molte malattie i medici brancolano ancora nel buio senza riconoscere le cause e poter fornire terapie risolutive (da quelle più gravi come i tumori, le epidemie virali e varie sindromi idiopatiche, a quelle più banali come un mal di gola di origine “virale” o un mal di testa da “stress”). Perché i progressi scientifici e tecnici non hanno generato un proporzionale miglioramento della qualità della vita su scala mondiale? Perché il mercato globale invece di soddisfare i nostri bisogni sembra orientato a generarne nuovi?
Cosa si può dedurre dall’osservazione dei cambiamenti sociali avvenuti in Italia dopo il 1975? Lo straordinario sviluppo e la rapida diffusione degli strumenti informatici non ha innescato evoluzioni sociali tali da giustificare l’uso di termini come “rivoluzione informatica democratica”. Invece di sfruttare le potenzialità di tali strumenti per espandere ed evolvere le nostre facoltà mentali individuali e collettive, sembra che ci stiamo riducendo a interiorizzarli come modelli per i nostri cervelli. Le nostre “teste” invece di evolversi sembrano ridursi amacchine veloci, piccole e leggere. Descriverò singolarmente vari aspetti di questo fenomeno e alla fine li analizzerò insieme:
VALORI: La nostra costituzione prevede che il lavoro sia il fondamento della società e della dignità di ogni singola persona. La disoccupazione è un problema gravissimo, ma le istituzioni, la politica e gli imprenditori non sembrano capaci di contrastarne l’aumento in atto e quello previsto per i prossimi anni. Scegliere una professione è oggi molto più difficile e rischioso che in passato, data l’instabilità del mercato del lavoro e la richiesta di lunghi percorsi di formazione e nuove specializzazioni. In questo contesto è frequente incontrare bambini (con genitori spesso compiacenti) che sognano di fare il calciatore o la velina. Essendo i bambini delle “spugne” della realtà che li circonda, l’attrazione esercitata su di loro da queste due “professioni” si presta a comprendere i valori dominanti nella nostra società: soldi, apparenza, popolarità e successo; tutto in tempi brevi e con un percorso di formazione meno “pesante” possibile. Basta riflettere sul termine “veline”: informazioni brevi senza approfondimento, scritte su un foglio di carta volante; la televisione le personifica in due giovani donne (bionda e bruna) che espongono sorrisi ammiccanti, gambe, glutei e seni più o meno rifatti. Una condensazione di maschilismo, comicità trash e informazione superficiale che riscuote grande successo nel pubblico ininterrottamente dal 1988 (“Striscia” la notizia), diventando un modello. Anche il calcio ha progressivamente perso la dimensione originale di gioco e di sport ricco di valori, trasformandosi in uno show business (da “Novantesimo minuto” del 1970, la varietà e la diffusione mediatica e in rete dell’informazione calcistica sono cresciute a dismisura) basato sull’immagine e sul profitto. La figura del “calciatore” ormai rispecchia quella della “velina” … con la quale, infatti, spesso si accoppia (gossip).
POLITICA: Dopo quasi 20 anni di potere, un ex presidente del consiglio si ripresenta per vincere le elezioni con un programma sintetizzabile in un sms: “ io cambierò le cose: vi tolgo l’IMU e l’IRAP. Votatemi!”. La sua modalità comunicativa è basata su slogan brevi e superficiali e una comicità che ricorda i personaggi di alcune trasmissioni televisive (Drive in, Striscia la notizia, Colorado). I sondaggi testimoniano il successo nella popolazione di questa strategia, che viene decantata da tutti i critici della comunicazione, sia sui mass che sui personal media. Abilmente viene oscurata la realtà dei fatti, evitando di affrontare i veri problemi delle persone. Gli altri candidati sembrano costretti a inseguirlo sulla strada della demagogia e del populismo per non perdere voti. Questa degenerazione ci copre di ridicolo davanti agli occhi di tutto il mondo e rappresenta bene l’involuzione della politica in Italia (e non solo). Solo 60 anni fa i nostri politici scrissero La Costituzione della repubblica; leggendola non si può non percepire la profondità delle riflessioni, l’attenzione alla difesa del bene comune (res publica) e alla valorizzazione delle singole persone e la lungimiranza delle visioni che hanno ispirato coloro che l’hanno scritta. Leggendo una qualsiasi delle leggi approvate in questi ultimi anni, ci si rende conto immediatamente della differenza. Di ciò sono consapevoli gli stessi autori, se arrivano a chiamarle “porcellum”. A parte le innumerevoli leggi “ad personam”, quelle che i politici pretendono di chiamare riforme si rivelano un groviglio di principi superficiali che ottengono l’effetto di far protestare i vari sindacati e alimentare il lavoro di avvocati, notai, giudici e commercialisti. Anche qui tutto all’insegna del tirare a campare qualche mese e ottenere risultati immediati (mantenere la poltrona, vincere le elezioni successive). Anche la legge di stabilità (pareggio di bilancio), che genera un grande apprezzamento di Monti in Europa, si basa sul presupposto che, essendo incapaci di gestire fondi in un’ottica futura e spreconi se non ladri, dobbiamo affidarci a un principio di economia primitivo: giorno per giorno puoi spendere ciò che guadagni. Per un comune la conseguenza è che, pur avendo i soldi, non puoi investirli nella ristrutturazione di una scuola, di un campo sportivo o nella riparazione di una strada, non disponendo di entrate immediate e proporzionali.
Assistiamo poi all’evoluzione del fenomeno dell’infiltrazione mafiosa (nelle nostre teste). Il picciotto con la lupara è stato sostituito dal manager istruito in giacca e cravatta che usa il denaro sporco per investire in borsa e comprare i politici. Ancora più preoccupante, perché subdola, è l’accettazione passiva e inconsapevole della mentalità mafiosa da parte dei semplici cittadini. La difesa degli interessi personali, la paura delle minacce e delle ritorsioni dei potenti, la valorizzazione della capacità di far soldi mediante la furbizia e giochi di favori personali lasciano spazio a una capillare diffusione della cultura mafiosa. Si è passati dal controllo di attività illegali (armi, droga e prostituzione) a quelle legali (movimentazione terra, edilizia, strade, grande distribuzione, etc). L’ulteriore salto di qualità è stato il condizionamento dell’attività politica (a tutti i livelli) e dei giochi di potere a essa collegati, beneficiando della rassegnazione passiva dei cittadini. Queste dinamiche ostacolano o allontanano quelli che onestamente si avvicinano alla politica. Chi non è pieno di se, arrogante, furbo e capace di districarsi in questi giochi di potere è considerato un ingenuo poco adatto a fare il politico. Il circolo vizioso è: lamentarsi dei nostri politici, pensare che un politico possa avere successo solo se sa muoversi in un sistema mafioso, i cervelli onesti scappano o soccombono, lamentarsi dei nostri politici. Fortunatamente ci sono ancora molte persone oneste e competenti che resistono e partecipano attivamente alla vita pubblica (anche con incarichi istituzionali). Esse testimoniano una tensione indomabile a discutere e a portare avanti i valori della politica tesa al bene di tutti. Questa tensione e la capacità di resistere generano ottimismo. Poi, però, una ragazza carina vede la Minetti in tv e pretende di candidarsi; in Lombardia un voto si compra facilmente con 50 euro; e infine, nonostante tutti i difetti della legge elettorale … siamo noi che abbiamo votato questi politici.
ECONOMIA: Negli ultimi secoli si è cercato con grande fatica di elaborare e applicare modelli diversi: marxismo, capitalismo, liberismo, socialdemocrazia etc . Quello che gli economisti si sono ridotti a spiegarci e a proporre oggi è molto semplice: non possiamo prevedere l’andamento economico di un sistema fuori controllo (ma non dovrebbero servire a questo?); le priorità sono salvare le banche (e le persone?) e spendere quello che si guadagna (la finanza a chi serve?). Se le decisioni vanno prese in funzione di come rispondono i mercati, tanto vale quotare in borsa la qualità della vita, la democrazia e i beni pubblici (acqua, aria, terra). Ogni mattina il Dow Jones ci dirà quanto vale l’acqua che beviamo, le carote che mangiamo, la terra che calpestiamo.
ISTRUZIONE: Da sopra arrivano dal ministero tagli lineari e proclami ispirati a una vaga meritocrazia e al concetto che con la cultura non si mangia. Dall’altra parte si diffonde la difficoltà degli studenti ad appassionarsi a percorsi di studio complessivi e approfonditi perché svalutati e senza la speranza di sbocchi futuri nel mondo del lavoro. La scrittrice Miu Jacqueline (2010) scrive: “Bisogna avere paura della cultura! L'istruzione non aiuta certamente a realizzare le nostre ambizioni, non dà la sicurezza di una realtà nuova, affermano i giovani italiani, con la cultura e lo studio siamo solo dei pupazzi per chi sa già come funziona il gioco della vita”. Le lotte del 68’ per un’istruzione meno omologante e più libera e democratica (“Non abbiamo bisogno di educazione, né di oscuro sarcasmo in classe” Pink Floyd) hanno ottenuto solo risultati parziali e si sono dimostrate sterili nel generare cambiamenti a lungo termine. Senza dubbio, però, i valori e le prospettive che animarono quei dibattiti erano a un livello superiore di quelli cui assistiamo oggi. Le frasi più ricorrenti che si sentono nelle discussioni dei genitori sulla scuola sono: “facciamo dei sacrifici ma almeno, in quella scuola privata, me lo tengono tutto il giorno e gli fanno fare i compiti; il problema è che ci sono troppi extracomunitari; quanti compiti gli danno; hanno già scritto 7 quaderni”. Non va meglio quando si ascoltano le interviste fatte a studenti iscritti a università rinomate come la Bocconi (Servizio pubblico, LA7); alla domanda: “Perché vi siete iscritti?” Rispondono: “Perché la reputazione di questa università ci farà diventare ricchi, potenti, ben visti e famosi”. Quasi nessuno parla di qualità, interessi, vocazione, attitudini, prospettive etc… .
Come sono gestite le enormi possibilità rappresentate dalle nuove tecnologie informatiche nei processi educativi? Si obbligano insegnanti sottopagati e senza competenze specifiche a fare corsi di formazione; bene che vada c’è una L.I.M. per istituto e un PC per 50 studenti; gli studenti non stimolati passerebbero il tempo con i videogiochi. Non è difficile immaginare cosa possa scaturire nella scuola pubblica (e di conseguenza nelle generazioni che in essa vengono formate) da questo mix di fattori.
COMUNICAZIONE: Gli sms, twitter e altri social networks prevedono che i messaggi contengano un numero limitato di caratteri. I moderni confronti elettorali (stile USA) prevedono un minuto di tempo per affrontare temi complessi come la politica fiscale, il lavoro o il welfare (primarie del PD 2012). Dove non ci sono regole o rigidi moderatori (che stabiliscono cosa è giusto scrivere\leggere o dire\ascoltare), vigono consuetudini per cui se uno si dilunga diventa pesante e fa perdere tempo. Questo vale per le comunicazioni in ambiti lavorativi, in quelli personali e persino in quelli più intimi. Non mi riferisco alle abbreviazioni e alle sigle tipiche degli sms (TVTB), ma all’obbligo di essere breve e veloce per essere ascoltato. Non è una questione di sintesi o di essere coinciso e diretto; il messaggio diventa efficace solo se è leggero e non richiede particolari ragionamenti. Quasi come dovessimo discutere con un computer che riconosce solo domande brevi e standardizzate (sperimentare su cleverbot.com). Quando riceviamo una qualsiasi mail (di lavoro, informazione, svago), se è più lunga di una pagina, ci infastidiamo perché esce dai canoni convenzionali e ci scombina la nostra agenda densa di impegni. Inconsapevolmente ci siamo adattati ai ritmi della comunicazione imposti prima dalle televisioni (mass-media) e dai telefonini e ora dalle “convenzioni nell’uso di internet e dei personal media”. Questi ritmi non sono funzionali al soddisfacimento dei bisogni relazionali delle persone, ma all’omologazione del pensiero e a scelte acritiche. In un mondo sempre più intasato di informazioni, saper scegliere e ascoltare criticamente è fondamentale. L’eccesiva regolamentazione e omologazione imposta dall’alto, impedisce lo sviluppo di queste capacità. Il bisogno di appartenenza degenera in un adattamento necessario per essere accettato dal gruppo. Uno degli scopi più comuni che spinge le persone a usare facebook (appunto il libro delle facce) è l’esibizione del sé (quando non esplicita pubblicità); il numero di “amici” non misura l’efficacia della comunicazione, ma solo il successo della propria immagine. I messaggi brevi e la velocità ci hanno portato a perderci, senza consapevolezza, nel “flusso della vita moderna”. Gli strumenti per accedere a una fase più avanzata dell’evoluzione umana sono già disponibili; mancano ”nuove teste”. Interessanti sono gli spunti che si possono trarre da: “I barbari. Saggio sulle mutazioni” (Baricco 2006). L’autore (che figura tra i consulenti di comunicazione del “rottamatore” M. Renzi) vede nelle caratteristiche della nuova generazione (modalità comunicative sviluppate in sintonia con i nuovi supporti informatici; scarso interesse per la cultura e la scuola classica; nuovi modelli, valori e stili di vita) i segnali di una mutazione del genere umano. Le vecchie generazioni per difendere i loro valori tradizionali e il loro potere non sono portati a considerarla come un’evoluzione, ma a giudicarla come una regressione barbarica. Perciò, non riescono a comprendere i mutamenti in atto e a interagire con essi. La mancanza di dialogo e scambio tra generazioni aumenta il rischio che i fenomeni prima descritti determinino una regressione dei nostri cervelli, invece di un’evoluzione in nuove forme di intelligenza collettiva.
CULTURA: L’affermazione: “solo la cultura ci può salvare!” ormai profuma di minestra riscaldata condita di retorica. Cetto La Qualunque risponderebbe “Ehi tu! Inutile sfigato caino e bastasu, mi fai ammosciare il pilu con sta cultura! Fammi un po’ vedere dov’è e cosa ci fai con sta cultura! E qualunquemente e indifferentemente ‘nto u culu alla cultura!”. Senza la simpatia e le abilità di Antonio Albanese nel curare il linguaggio non verbale, questo personaggio sarebbe solo la caricatura di una volgarità diffusa nel mondo della politica. La genuinità e la vitalità di alcuni tratti conferiscono al personaggio quel briciolo di umanità sufficiente a lasciare aperti degli “spiragli” (non fosse altro che, essendo sincero nella sua ignoranza, è facilmente criticabile). Che impedisce completamente il respiro è un tipo di arroganza molto più subdolo e ipocrita di quella di Cetto. È la saccenteria, il senso di superiorità intellettuale, l’ironia sprezzante, chi non ti ascolta perché non hai esperienza (che a volte è solo la perpetuazione di un errore) o perché il tuo pensiero è complesso, chi pretende di trasmettere cultura facendotela odiare, chi ghettizza, chi ti fa sentire più ignorante e meno competente solo per crearti un disagio. Sono degli atteggiamenti che nascondono l’interesse a mantenere l’ignoranza negli altri per mascherare la propria o per mantenere un potere. I bambini nascono con la curiosità di scoprire e il bisogno (amore) di imparare e comunicare. È fuorviante incolpare solo certi insegnanti di reprimere queste necessità. Bisognerebbe far riscoprire il piacere di: conoscere a fondo i fenomeni, perdersi in discussioni aperte, analizzare con curiosità i dettagli, fare bene un lavoro indipendente dal profitto, di meravigliarsi di fronte alla bellezza della natura, affrontare percorsi di apprendimento lunghi e impegnativi senza l’ansia di risultati immediati; immaginarsi il futuro e avere il coraggio di elaborare, con tutta la complessità richiesta, nuovi programmi e strategie organiche. Se utilizzato partendo da questi presupposti, internet rappresenta un efficace strumento per diffondere cultura (fine della predica).
ELABORAZIONE DEI DATI: C’è chi ipotizza complotti globali, chi pensa sia una fase necessaria dell’evoluzione del genere umano (per alcuni la fine), chi fa ragionamenti complicati di sociologia, politica e economia. Individuare una chiave di lettura semplice di un processo complesso non significa escludere dall’analisi la complessità dei soggetti coinvolti (noi esseri umani) e della realtà in cui viviamo. Significa individuare un meccanismo semplice che determina la sequenza di fenomeni complessi precedentemente sintetizzati: le leggi del profitto inducono il mercato a proporre beni e strumenti piccoli e leggeri che soddisfino i bisogni delle persone; tali oggetti devono poter essere sostituiti rapidamente (scarsa durata, evoluzione rapida); la pubblicità promuove bisogni omologati di “consumare” sempre più velocemente; la ricchezza accumulata da chi produce questi beni è utilizzata per manovrare la politica, la finanza e l’economia per alimentare questo circuito e arricchirsi sempre di più. In mezzo ci siamo noi utilizzatori che avendo interiorizzato le caratteristiche di questi oggetti, continuiamo a impoverirci materialmente e spiritualmente. Un qualsiasi professionista (idraulico, manager, medico, politico, giornalista, giardiniere) viene scelto solo in base alle capacità di generare profitto e vantaggi immediati. Seguendo questo principio vengono pianificate le strategie aziendali. Lo stesso principio sta determinando, direttamente e indirettamente (educando le nostre teste), le modalità di utilizzo delle nuove tecnologie informatiche e dei personal media. Nelle relazioni e nella comunicazione abbiamo il terrore delle cose “pesanti e lente”. Per il resto siamo indifferenti alle peggiori ingiustizie sociali, alle nefandezze e alla corruzione della politica, alla regressione delle relazioni umane a uno stato di barbarie mascherato con sorrisini ironici e strette di mano. L’insostenibile leggerezza con la quale conviviamo con queste miserie è la vera pesantezza. Nelle epoche passate, flagellate da problemi ben più gravi dei nostri (carestie, pestilenze, guerre sanguinose, schiavitù), non hanno mai smesso di interrogarsi sul futuro. La storia, l’archeologia, l’architettura testimoniano come in passato la lungimiranza di vari popoli si proiettasse a innumerevoli generazioni successive. Oggi futuro significa come andrà la borsa domani, come andranno le elezioni il mese prossimo, fino a spingerci al massimo a pensare alla nostra pensione (che già ci spaventiamo).
CONCLUSIONI E PROPOSTE: L’analisi storica del novecento dovrebbe farci diffidare delle proposte e delle ricette magiche imposte dall’alto dai vari: uomini forti e monarchi ispirati; elite intellettuali illuminate; partiti conservatori, riformisti, rivoluzionari che si sono succeduti al potere; lobby finanziarie ed economiche (compreso il capitalismo creativo di B. Gates) e i nuovi guru dell’informazione. Lo sviluppo di una nuova coscienza collettiva informata è un processo lentissimo e complesso ma necessario per interrompere il circuito determinato dalle logiche del profitto e i “poteri” a esso legati. Ci vorrebbe la pazienza e la fermezza del protagonista di “L’uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono, nel far crescere una foresta: “La trasformazione avveniva così lentamente che entrava nell’abitudine senza provocare stupore … perciò nessuno disturbava l’opera di quell’uomo. Se l’avessero sospettato l’avrebbero ostacolato. Era insospettabile … si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione”. In questo caso la foresta è costituita da teste che devono maturare la capacità di scambiare e condividere informazioni e idee. Altrimenti lo sviluppo (che oggi genera distruzione) è guidato da leggi e fattori fuori dal nostro controllo. Se oggi usiamo meno l’automobile è perché “è assurdo bruciare una meraviglia che la natura ha impiegato milioni di anni a generare” (Mendeleev 1871), perché non vogliamo distruggere il pianeta (ecologismo) o perché è aumentato il prezzo del petrolio? Costruiamo meno case e capannoni per non consumare il territorio (ambientalismo) o perché il mercato ha ridotto la richiesta? Vogliamo cacciare la classe politica per incompetenza e disonestà (movimenti) o perché ci stanno chiedendo troppe tasse? L’impegno degli attivisti e la partecipazione alla vita politica sono fondamentali nell’immediato futuro, ma per una reale efficacia a lungo termine non si può prescindere dalla diffusione capillare e trasparente dell’informazione. Non si può continuare a sperare e aspettare che tali informazioni piovano dall’alto senza essere state manipolate (istituzioni, libri, televisioni, giornali, etc). Lo scambio deve partire dal basso e da più fonti (persone) possibili. Partecipazione, trasparenza e controllo del flusso di informazioni sempre dal basso. L’Informazione è già diventata l’”elemento” determinante del mondo fisico che ci circonda, affiancandosi alla materia e all’energia che hanno caratterizzato le epoche passate. Sicuramente è complesso gestire e valutare l’affidabilità di una grande mole di opinioni, riflessioni, dati e informazioni cosi generate; ma gli strumenti informatici per farlo, esistono già. Sono le nostre teste che sembrano richiedere tempi lunghi per evolversi: devono educarsi a modalità di comunicazione funzionali allo sviluppo di forme più consapevoli di intelligenza collettiva (la pubblicità lavora già efficacemente su quelle inconsapevoli). Marlene Scardamalia, per esempio, ha implementato un ambiente ipermediale integrato per la costruzione di un database condiviso al fine dell'apprendimento collaborativo in rete. L'obiettivo di questo sistema è produrre apprendimento intenzionale, tramite il coinvolgimento in un processo d'expertise, all'interno della scuola vista come comunità d'apprendimento. Nell'approccio tecno-antropologico di Lévy si parla delle tecnologie dell'intelligenza, ovvero delle tecnologie collettive della percezione, del pensiero e della comunicazione. Per Lévy le strutture derivano da "un mondo variegato, mescolato, i cui effetti di soggettività emergono da processi locali e transitori (Lévy, 1990). Le strutture sono il prodotto di dinamiche ecologiche concrete. La tecnica si definisce in relazione alle modalità sociali d'uso delle sue potenzialità, ed è un forte fattore di trasformazione delle possibilità di produzione cognitiva. L'atteggiamento di Lévy di fronte alla conoscenza è costruttivista e situato. È l'atto comunicativo che definisce la situazione che dà senso ai messaggi. Ogni nuovo messaggio rimette in gioco il contesto. La situazione è ridefinita ininterrottamente dal processo di interpretazione collettiva in atto. La struttura ipertestuale spiega tutti quegli aspetti della realtà in cui entrano in gioco le significazioni, come la comunicazione e i processi sociotecnici. L'ipertesto è la metafora della teoria ermeneutica della comunicazione, il cui focus è la significazione. Ogni persona, attribuendo a un messaggio un suo senso, si costruisce un suo ipertesto. Il senso comune è l'elaborazione collettiva di un ipertesto.
Lo pseudo-darwinismo, a braccetto col pensiero capitalista, ci ha portato a considerare la “legge del più forte che domina il più debole” e la “competizione individuale” come gli unici fattori selettivi nel processo evolutivo. L’immagine più radicata nelle nostre menti del mondo animale (tralasciando quella orribile degli allevamenti massificati) è quella di una giungla dove vince il più forte e furbo. Gli straordinari esempi di raffinate organizzazioni sociali presenti in molte specie animali (api, formiche, etc) dimostrano, invece, come la solidarietà e il mutuo appoggio (P. kropotkin 1908) siano dei fattori selettivi altrettanto importanti. Gli insetti sono la classe di viventi numericamente più grande e presenta delle specie con capacità di adattamento molto varie e complesse. Ovviamente nessuno prospetta di trasporre queste caratteristiche tra specie completamente diverse; ma se le prerogative di una specie (homo sapiens) sono l’intelligenza e l’uso del linguaggio è prevedibile che lo sviluppo di un’intelligenza collettiva sia un fattore determinante nella sua evoluzione. Un’intelligenza basata sulla trasmissione di informazioni e l’aiuto reciproco all’interno della specie. Per educare le nostre menti a una prospettiva collettiva e lungimirante (che rispetti le altre specie e l’ambiente) ci sarebbe bisogno anche dell’apporto di una “nuova psicologia” indirizzata a sostenere la pedagogia e l’educazione oltre alla cura di malattie (sulle terapie individuali è forte la pressione della logica del profitto).
Esistono già dei movimenti che sperimentano alcune di queste vie: In Germania “i pirati”, che hanno una rappresentanza in parlamento del 6-7%, sono già ben strutturati e hanno elaborato una piattaforma informatica basata sul “liquid feedback” per la discussione e votazione collettiva sulle varie questioni; negli USA c’è l’imbarazzo della scelta; In Italia ovviamente abbiamo catalizzato l’attenzione solo su un leader (che non poteva essere che un comico); Il movimento cinque stelle, partito con richieste e obiettivi condivisibili, sembra prendere una deriva autoritaria, in antitesi alla discussione collettiva, ma resta uno dei pochi elementi nuovi del panorama politico italiano. Ancora più importanti e tangibili sono quelle forme di “resistenza passiva” che si ritrovano nelle associazioni e riunioni di semplici cittadini. Mi vengono in mente “le biblioteche rionali e il salotto della zia Lidia”descritte sapientemente dal prof. Claudio Longo nel suo seminario “resistere” (Milano 2012). In quei luoghi le persone si trovano per discutere, divertirsi, organizzare azioni, trasmettere e ricevere cultura, informarsi, scambiarsi opinioni. S’inizia con i vicini di casa, gli amici, i colleghi e i concittadini, con i quali sarebbe bello potersi incontrare di persona. Ma sappiamo tutti quanto sia difficile vedersi coi ritmi della vita moderna. Al linguaggio scritto manca la fondamentale componente “non verbale” della comunicazione e aumenta il rischio di perdersi nell’anonimato; ma se riscoperto e utilizzato senza l’obbligo della velocità (come nei rapporti epistolari del passato) rappresenterebbe, però, uno strumento prezioso per far maturare una consapevolezza nuova nei singoli individui e nella collettività. Per Sherry Turkle il computer è un mezzo costruttivo e proiettivo, che sollecita riflessioni sui propri processi cognitivi, affettivo-emotivi e motori. In particolare Turkle si è occupata della cultura della simulazione, nata con l'introduzione sul mercato di sistemi che utilizzavano l'interfaccia grafica, interessandosi al problema delle plurime identità e del Sé molteplice e flessibile. L’uso dei PC e di internet possono favorire le relazioni e i contatti umani (il corpo è legato alla mente), se le nostre teste resistono all’omologazione e al pericolo della dipendenza; due effetti collaterali che si manifestano nell’alienazione allo strumento con riduzione della libertà di pensiero. La possibilità di questi strumenti di far interagire attivamente, facilmente e comodamente molte teste, è inoltre decisiva nel promuovere la consapevolezza nella forza che deriva dalla condivisione del pensiero e delle azioni. Nella “primavera araba” facebook e twitter hanno giocato un ruolo fondamentale nell’incoraggiare le persone a scendere in Piazza Tahrir nel 2011; sono stati utilissimi per far conoscere e vedere in tutto il mondo la loro rivolta, diventando le più efficaci “armi di difesa” dei ribelli che occupavano la piazza. Per decenni le elezioni si sono vinte con le televisioni, adesso s’inizia a vincerle con internet (Obama USA 2012). La differenza sostanziale è proprio che questo strumento, con tutti i suoi limiti, lo possono usare quasi tutti e in modo attivo. Non è un caso che tutti i peggiori regimi (militari, politici, finanziari e dell’informazione) tentano di controllarli limitandone i livelli di libertà. Sarebbe convenzionale chiudere con uno slogan del tipo: “teste pensanti e messaggianti in rete, unitevi”… ma sarebbe come voler guarire una malattia somministrando la causa che l’ha generata (omeopatia).
SINTESI: La logica del profitto genera nella società odierna crisi, contraddizioni, disuguaglianze, depressione e distruzione del pianeta. Sfrutta la potenza (forza x velocità) della diffusione e condivisione di un pensiero (persuasione, pubblicità, mezzi di comunicazione, omologazione, passività) per raggiungere i propri scopi (soldi e potere). I progressi rapidissimi dell’informatica e dei recenti studi combinati con le neuroscienze cognitive e la neurobiologia, rendono disponibili strumenti informatici sempre più evoluti e potenti. L’intelligenza artificiale rappresenta solo un timido tentativo di imitazione della ben più evoluta intelligenza umana, della quale conosciamo solo in minima parte i meccanismi e le immense potenzialità. È ragionevole sperare che le nostre teste riescano a invertire le tendenze dettate dal mercato, sfruttando tali progressi per il bene comune e con una visione più lungimirante. Anche in un piccolo comune, discutere, partecipare alle scelte pubbliche, condividere un pensiero o un’azione è un modo efficace per resistere. È un passaggio chiave nell’evoluzione dei sistemi democratici (dopo l’estensione del voto alle donne), per passare da una democrazia della rappresentanza (che evidenzia i suoi limiti) a una democrazia della partecipazione diretta dal basso. Certo questo non può avvenire stando chiusi in casa davanti a uno schermo, ma neppure senza sfruttare le potenzialità di strumenti che si prestano, se ben guidati dalle nostre teste, a essere il motoredi una svolta evolutiva. La peculiarità dell’intelligenza concettuale umana è l’uso del linguaggio e quindi delle parole. Internet si limita a mettere in comunicazione più persone trasferendo informazioni fatte di immagini e parole. Pierre Lévy in: "L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio" parla di sostituzione delle tecnologie molari, che si rivolgono a individui massa, con le tecnologie di natura molecolare, che evitano invece la massificazione”. La mancanza di autenticità e profondità nelle relazioni umane non dipende da questa trasformazione. La scarsa attenzione alle emozioni, ai sentimenti, al contatto fisico, ai bisogni e alle sensazioni delle persone (elementi che meritano la priorità assoluta), derivano da altre cause. Un uso “più maturo” di questi strumenti può facilitare una trasformazione autentica, individuale e collettiva allo stesso tempo, che riporti al centro l’essere umano con i suoi bisogni e le sue varie “forme di intelligenza” (H. Gardner: “intelligenze multiple” 1994).
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