Il Politeama di Como è argomento da prima pagina: quel che rimane di una gloriosa sala riceve da un noto regista italiano, Paolo Virzì, una specie di insulto (“Como, città ricchissima, esprime il degrado della cultura con quel suo unico teatro, il Politeama, chiuso e in rovina”) che sintetizza una storia vera, ma Virzì la racconta male. Apriti cielo! Siam tutti scattati come molle perché parlar sincero non tocca ai forestieri.
Certo, Virzì, livornese, non sa nulla (per sua ammissione) di Como e dintorni e ignora quel tanto o poco che si fa e che funziona (nel ramo teatro: il Sociale, Canzo, Cantù – due teatri -, Licinium di Erba, Campione…) e vede le cose da artista. Giustamente.
Per Virzì, il Politeama è solo il fondale di una storia da raccontare e che poi il fondale non sia dipinto, ma realtà vera… poco importa.
È certamente triste per il Politeama (che ha appena festeggiato il centenario, nel 2010) che è un teatro senza futuro; altra palestra comense dei progetti impossibili e inutili che abbondano in questa città.
Il Politeama è oggi – difatti – un edificio senza alcuna utilità che ha compiuto cento anni (dall'inaugurazione) ma al buio. Regalato al Comune di Como dal proprietario che, prima di morire, ha elaborato un piano diabolico: dare al Comune (che odiava) l’impegno di occuparsi di una pesante eredità di cui il Comune non sa che farsene lasciando – inoltre – una piccola fetta anche agli eredi naturali. Il Politeama è una proprietà frazionata in due: una grossa maggioranza pubblica (che non ha progetti né risorse) e una minoranza privata che non sembra avere alcun interesse, tranne quello immobiliare.
Tuttavia s’è scatenata una campagna di salvaguardia che non sembra tener conto di due fattori: l’inadeguatezza della struttura (progettata da Federico Frigerio per esigenze ora superate) e la necessità di affrontare costi ingenti per la ristrutturazione (non meno di dieci-quindici milioni di euro stando ad altre esperienze simili in Italia).
Per avere cosa? Un teatro? Un auditorium? Mantenendo il disegno attuale inadatto alle nuove necessità dello spettacolo e degli spettatori? Enormi e inutili palchi in balconata e un loggione modello arena romana di cui tutti ricordano precarietà e scomodità. Parcheggi? Zero! Intanto cade a pezzi e s’appresta a prendere il posto che già fu della Ticosa: un rudere.
La discussione – dunque – non è se Virzì abbia offeso la cultura comasca bensì se la cultura imprenditoriale comasca abbia una cifra enorme da mettere a disposizione a fondo perduto. Finirà, il povero edificio, come l’Araldo poi Embassy o come il Cressoni-Odeon-Centrale o come il Moderno-Plinio. O finirà come il cinema Volta: demolito sotto lo sguardo lacrimante dei comaschi che lo avevano frequentato, ma che da tempo, al cinema, non ci andavano più.