L’ispezione al campo governativo di via Regina, promossa il 6 settembre da Como senza frontiere e realizzata grazie alla disponibilità di Michele Usuelli, consigliere regionale di +Europa, è un passaggio importante, per quanto ancora interlocutorio. Abbiamo sempre saputo che questo tipo di sopralluoghi, per quanto “a sorpresa” come quello di di ieri (la Prefettura è stata avvisata con solo un’ora di anticipo sull’effettivo suo svolgimento), non sono il modo più efficace per accertare le criticità di questi luoghi “chiusi”.
In ogni caso, infatti, la maggior parte delle problematiche si sviluppano nel tempo e solo sulla distanza diventano evidenti e rivelano, in qualche caso, la loro gravità. Inoltre, anche eventuali episodi “acuti” difficilmente accadono proprio nel momento in cui qualche osservatore esterno è presente…
Eppure, nonostante queste banali considerazioni, abbiamo fortemente voluto questa ispezione per affermare alcuni principi basilari. Innanzi tutto è importante che gli enti amministrativi (in questo caso la Prefettura, cioè la rappresentanza locale del governo della Nazione) sappiano che in ogni momento anche luoghi “separati” come un campo destano l’attenzione e la preoccupazione della cittadinanza, o almeno di una sua parte attiva. E, quindi, che è indispensabile adottare nella gestione di questi luoghi “sensibili” una trasparenza di fondo. Viceversa, il campo di Como ha sempre avuto una vicenda opaca, con l’indisponibilità di chi ne ha responsabilità a rendere partecipe la città delle sue regole, delle sue pratiche e – persino – dei suoi risultati. Tale opacità è riscontrabile fin dalla sua natura, che viene definita nel linguaggio burocratico come “ibrida”, senza che sia mai stato chiarito tra quali differenti criteri nasca questa cosiddetta ibridazione. Per arrivare fino al paradosso che tale campo non è nemmeno “dichiarato” all’esterno, così che l’unica insegna che compare sul cancello è l’emblema della Croce Rossa – Convenzione di Ginevra, che certo lo gestisce per incarico del governo ma che non vi ha sede, come invece un ignaro passante potrebbe dedurre.
Da questa opacità deriva con tutta evidenza il rifiuto di aprire il campo alle persone esterne, che vi possono accedere solo con accrediti (anche ieri non a tutte le persone che accompagnavano il consigliere regionale Usuelli è stata concessa l’autorizzazione all’ingresso) o per svolgere determinate funzioni concordate. Diversamente da altri campi, come quello di Ventimiglia, pure governativo e non certo volontario. (Quando ai funzionari prefettizi si fa presente questa disparità di comportamenti non sanno spiegarla.)
Dunque ottenere il più spesso possibile l’accesso al campo, anche se in condizioni controllate, così come ottenere la diffusione con scadenze ragionevolmente ravvicinate dei dati reali su tutti gli aspetti della vita del campo, è importante: per rendere noto alle autorità che la cittadinanza è interessata, ma anche – reciprocamente – per sollecitare la “gente” a non dimenticarsi dei problemi connessi alle migrazioni, che non sono stati “risolti” semplicemente con la rimozione degli evidenti accampamenti nei giardini della stazione dell’estate 2016.
Ma, concretamente, il controllo della situazione del campo serve anche a monitorare, sia pure parzialmente, le effettive condizioni di vita al suo interno, l’esistenza dei servizi che devono essere prestati, la situazione reale delle presenze e – persino – degli atteggiamenti di chi vi risiede o vi lavora. Va infatti ricordato che il campo, quello di Como come gli altri, non è un luogo di reclusione, e ha invece funzioni specifiche: sostanzialmente quella di avviare le persone al percorso di accoglienza definito e messo a disposizione dalle istituzioni, con gli essenziali corollari della mediazione culturale, dell’istruzione, dell’informazione giuridica, dell’assistenza sanitaria. Avere la possibilità di controllare che tutte queste queste attività vengano effettivamente svolte è importante, anche in un giorno “qualsiasi”. Dal sopralluogo sono comunque emersi alcuni problemi, ad esempio la mancanza di un’assistenza psicologica con l’apporto di personale specializzato, la mancanza di spazi adeguati per evitare i rischi della promiscuità, o – ancora – la presenza limitata ad alcune fasce orarie della mediazione culturale. Più in generale, sembra che tutto sia ancora organizzato con modalità emergenziali: il rapporto con le persone viene impostato come se tutti dovessero restare al campo poco tempo e come se un ipotetico continuo ricambio impedisse di seguire le persone individualmente. Ma non è così: la permanenza è comunque prolungata in genere per qualche mese (e in alcuni casi addirittura a più di un anno).
Se poi da quest’ultima ispezione non è emersa nessuna criticità “acuta” non possiamo che esserne contenti. Al tempo stesso continuiamo a ribadire che l’esistenza stessa di questo tipo di campi è, dal nostro punto di vista, un problema che contrasta con l’affermazione di quello che per noi resta un diritto fondamentale: quello di poter cercare il luogo più consono dove realizzare il proprio progetto di vita. Anche nel dettaglio tale impostazione dei campi andrebbe superata: lo stesso personale responsabile del campo di Como è avvertito del fatto che molte persone attualmente presenti avrebbero diritto ad accedere a uno SPRAR, ma questo non è possibile per la semplice ragione che i luoghi di accoglienza di secondo livello sono pochi, sono pieni e con liste di attesa molto lunghe. I campi andrebbero quindi sostituiti con luoghi più idonei, come – in buona parte – è stato fatto per i minori non accompagnati (che infatti non sono più inclusi nel campo di via Regina).
Ma tutto questo non significa che il campo debba essere smantellato dall’oggi al domani. Anzi: in una situazione che presenta a livello cittadino e territoriale notevoli problematiche di accoglienza, risulta piuttosto difficile da capire come una simile struttura non venga utilizzata per evitare che molte persone migranti siano costrette a vivere e a dormire, letteralmente, in strada.
Concepiamo quindi l’azione della rete Como senza frontiere come un impegno di largo respiro. Per questo abbiamo ribadito, al termine di questa nuova ispezione, la necessità che questo tipo di sopralluoghi vengano ripetuti e ampliati.
[Fabio Cani, Annamaria Francescato, portavoce di Como senza frontiere]
www.comosenzafrontiere.
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