Como Senza Frontiere - L’emergenza derivata dall’epidemia denominata covid-19 si è ripercossa in modo grave sulle persone in situazione di fragilità (migranti, native, senza fissa dimora). Di fatto, le loro possibilità di accesso a una quotidianità “normale” si sono ulteriormente ridotte, e molti dei percorsi di integrazione e condivisione si sono interrotti per causa di forza maggiore (ma anche per scarsa volontà di portarli avanti). Per la maggior parte delle persone che avevano intrapreso corsi o tirocini o formazioni è stato quasi impossibile proseguirli, per le disposizioni di sospensione, per i divieti di spostamento o per l’impossibilità di accedere ai dispositivi necessari per la didattica on-line.
I richiedenti asilo attualmente presenti sul territorio della provincia di Como sono circa un migliaio, tra questi circa 90 sono presso Symplokè (una metà è costituita da uomini soli, un’altra metà da donne – con o senza prole – e da piccoli nuclei familiari), circa 90 presso Exitus, circa 200 presso la cooperativa Intesa Sociale.
Le persone senza fissa dimora riferibili all’area del capoluogo sono circa 300; di questi 60/70 fanno riferimento all’“emergenza freddo” di via Sirtori, 60/70 al dormitorio di via Napoleona, circa 25 alla struttura d’emergenza della palestra Mariani, circa 20 ai Comboniani di Rebbio; un’altra settantina non è mai entrata nel circuito di questa assistenza d’emergenza, per difficoltà logistiche (o anche per resistenze personali).
Per queste persone dal 4 maggio non è più garantita l’accoglienza diurna, ed è stata progressivamente ridotta anche la somministrazione di pasti a mezzogiorno (sostituiti da cestini di cibo “freddo”); non caso alcuni porticati, come quelli dell’ex chiesa di San Francesco, sono tornati ad affollarsi. Incombe, inoltre, il rischio della chiusura dell’“emergenza freddo” a fine maggio, e anche quella della disponibilità della cucina serale nella sede del Don Guanella, gestita dalla Cooperativa Incroci.
La situazione è precaria anche per molte famiglie straniere già stabilmente insediate nella società locale, come testimoniano i referenti di alcune comunità straniere (salvadoregna, nigeriana, ma anche con altre provenienze). Una dozzina di nuclei familiari sono assistiti dalla rete Caritas e dalle parrocchie; nelle scorse settimane anche un’associazione privata di Milano si è fatta carico di circa 60 famiglie. Per molti regna sovrana l’incertezza: non riescono nemmeno a sapere (e a capire) se hanno diritto a qualche forma di aiuto oppure no, e ciò vale anche e soprattutto nei luoghi di lavoro. Il lavoro “fragile”, anche quando non proprio irregolare, è il primo a farne le spese in situazioni di debolezza e incertezza: chi lavora “a chiamata” non sa se ha diritto alla cassa integrazione o alle ferie, non sa se quel poco che ha ricevuto è da considerare una “mancia” o un “compenso” più o meno adeguato…
Gli aiuti stanziati dal governo procedono, in qualche caso, con grave lentezza; mentre in molti comuni del territorio i “buoni spesa” sono stati erogati con rapidità, nel capoluogo fino ad ora sono state evase (per la complessità delle questioni procedurali) circa metà delle domande accolte. Quasi dappertutto, comunque, non sono state applicate particolari restrizioni all’accoglimento delle richieste.
Anche da un osservatorio limitato come quello comasco si verifica il rapido aumento di situazioni di povertà e di fragilità: aumentano anche le famiglie italiane, fino a ieri in una situazione relativamente stabile, che vanno alla ricerca di aiuto per (ri)trovare lavoro e per assicurarsi qualcosa per il sostentamento. Le famiglie di origine straniera restano comunque la maggioranza (circa il 60%) di chi chiede interventi.
Così come si evidenzia la necessità di luoghi di informazione stabili e istituzionali, in grado anche di istruire le pratiche sempre più complesse, che anche i più recenti provvedimenti del governo necessitano.
Per informazioni e aggiornamenti sulle varie pratiche, consigliamo di rivolgersi a
https://todocambia.net/