Domenica io c’ero in Val di Susa. Con tre amici siamo andati in auto fino ad Avigliana e da lì abbiamo preso il treno per Chiomonte, distante una quarantina di km. All’arrivo in stazione il treno proveniente da Torino era già strapieno ma siamo riusciti ugualmente a salire. Cosa non riuscita alle numerose persone in attesa alle successive stazioni, che vedevamo correre su e giù per la banchina nel vano tentativo di trovare uno spiraglio oltre le porte. Pur essendo stipati come sardine c’era un’atmosfera gioiosa di gente che andava a fare una scampagnata. Ma anche con la consapevolezza che stava compiendo un dovere. Dovere di testimoniare il 'no' a quest’opera mostruosa, inutile e dannosa.
All’arrivo si è subito formato un corteo che ha risalito la vallata percorrendo per 5 km la strada statale (lato destro della Dora) fino a Exilles dove si è congiunto col corteo 'ufficiale' dei Sindaci della valle (23). Si è quindi passati sull’altro lato del fiume e si è scesi (ritornando verso Chiomonte) fino ad arrivare al fondovalle, davanti ai cancelli della centrale elettrica dove, all’interno del cortile, in lontananza, si vedeva uno schieramento di carabinieri. Prima di imboccare la ripida discesa, alcuni gruppetti si sono staccati dal corteo ed hanno imboccato un sentiero che saliva sul fianco della montagna.
Nella zona del ponte che riportava sul lato sinistro del fiume, a fianco della centrale elettrica, si era formato un grosso assembramento di partecipanti. Fermi a guardare sia verso l’interno dell’area della centrale, sia verso il fianco della montagna da dove salivano a volte pennacchi di fumo. “Sono i lacrimogeni. Segno che stanno attaccando dall’alto”, si diceva. Gli organizzatori coi megafoni ci invitavano a non fermarci e a proseguire sulla strada che salendo tornava a Chiomonte.
Molti si son fermati in basso, aumentando l’assembramento, ma la maggior parte ha proseguito. Sulla strada del ritorno molte persone erano assiepate sui bordi che davano sulla valle. Si sentivano i colpi dei lacrimogeni dei Carabinieri ed i botti dei petardi degli assalitori. Molte persone battevano ritmicamente bastoni sui guard-rail. Penso come segnale di solidarietà con gli assalitori.
Ritornati a Chiomonte, ci si è portati presso il campo sportivo dove diversi rappresentanti No TAV hanno tenuto brevi discorsi, illustrando le motivazioni della protesta per quest’opera inutile e dannosa dai costi spropositati: 20.000 miliardi di Euro come costo stimato (quello dell’Alta velocità Milano-Roma è triplicato rispetto alle previsioni), senza contare i costi della “militarizzazione”); cantiere dai tempi lunghissimi (13 anni); espropri di terreni e limitazioni di attività commerciali; incertezza sull’utilità finale (2032), anche alla luce di stime di stabilità, se non decremento delle merci trasportate.
Un consistente gruppo ha poi attuato il blocco della strada statale, mantenendolo per tutto il pomeriggio, salvo saltuarie aperture. Verso le 14.00 è arrivato Beppe Grillo che, dopo aver anche lui tenuto un breve comizio, ha invitalo i presenti ad “andare a vedere cosa succede” giù al ponte mentre gli organizzatori invitavano a rimanere.
Io son ritornato giù al ponte dove l’assembramento era aumentato ed ho visto, da lontano, le scene di guerriglia: da una parte gli assalitori (un gruppetto di una trentina di persone, alcune vestite di nero) si avvicinavano ai cancelli (probabilmente per sfondarli) e lanciavano pietre; dall’altra i Carabinieri correvano verso i cancelli, lanciando lacrimogeni. Da quel che sono riuscito a capire, mi è sembrato che i Carabinieri non avessero intenzione di caricare i manifestanti, ma solo di tenere la loro postazione e di non procurare grossi danni agli assalitori (i fatti peggiori sono avvenuti la mattina o in un altro posto) poiché i lacrimogeni venivano sparati non in linea retta ma 'a parabola' e poi non hanno manifestato l’intenzione di uscire dai cancelli per disperdere le numerosissime persone accalcate sia sul ponte sia tutt’attorno. Qualche lacrimogeno però è stato sparato verso il prato sul lato opposto del fiume dove erano presenti numerose persone: una davanti a me è svenuta ed è stata soccorsa da compagni; io ho 'assaporato' per la prima volta l’acre odore dei fumogeni.
Verso le 17.00 siamo tornati alla stazione per il ritorno dove le banchine erano già stracolme. Alla biglietteria c’era una lunga coda di persone per l’acquisto dei biglietti, ben sapendo che nessun controllore sarebbe salito sulla scatola di sardine (noi avevamo acquistato i biglietti di andata e ritorno).
Conclusioni: i No TAV (stimati in 50 - 60.000) sono persone con la testa sulle spalle, che affrontano anche lunghi viaggi (c’era gente da tutta Italia) a proprie spese per manifestare pacificamente il proprio dissenso. È questo il popolo che la politica deve ascoltare. Non han senso le affermazioni governative del tipo “non saranno 4 violenti che fermeranno le scelte del Governo”. Governo e Partiti tutti devono ascoltare perlomeno i 50-60.000 manifestanti. Sono (siamo) quell’altra Italia sana, l’Italia seria e onesta, l’altra Italia completamente ignorata dai media. Dei fatti di questa domenica han citato solo quanto han fatto le decine di cosiddetti black block (ma ci si è mai chiesto chi paga i viaggi di questi che arrivano dall’estero? Non vengono certo come turisti), 'dimenticandosi' delle altre migliaia di pacifici manifestanti. Siamo l’altra Italia, quella che si è manifestata nel voto ai referendum (28 milioni), un'Italia che c'è e si farà sentire sempre di più. Anche se i partiti han gli occhi chiusi o vogliono tenerli chiusi.
Giuseppe Leoni, Fino Mornasco
NOTAV: la parola alla Savoia francese
NADiRinforma incontra alcuni abitanti della Savoia francese uniti al Movimento italiano NoTAV per opporsi alla proposta di TGV Lione-Torino. Un progetto che vorrebbe creare un nuovo collegamento ferroviario Italia-Francia attraverso le Alpi, un progetto che prevede lo scavo della più lunga galleria d'Europa (oltre 50 km) in una montagna ricca di amianto e di uranio. Lanciato nel 2001, il progetto dovrebbe
essere completato entro il 2023, il costo previsto è enorme e si aggira sui 25 miliardi di euro
Val di Susa - 3 luglio 2011 - Alberto Perini
La parola ai protagonisti
Alberto Perini, leader storico del movimento NO TAV
Dichiarazione SHOCK di un No TAV ''Massacrato dai Poliziotti Mentre già ero sulla Barella''
Incredibile Azione Violenta di una Manifestante No TAV ai Danni delle Forze dell'Ordine
4 Luglio 2011
3 Luglio 2011
Apprendo oggi dai giornali che il governo mi considera una pensionata d’oro.
In effetti, ho una buona pensione, posso farcela a sopportare quel che la manovra prevede, però: sono davvero una pensionata d’oro?
Fino a quasi 20 anni ho “fatto la signorina”, come diceva il mio papà, cioè ho solo studiato (con l’obbligo di avere dei bei voti: così la mia zia maestra riusciva sempre a trovare un bando di borsa di studio a cui potessi concorre con successo: dalle piccole borse per bambini delle elementari al pre-salario all’università).
Il giorno in cui ho compiuto 20 anni la mia situazione era questa:
- aver la responsabilità di una casa e una famiglia (composta da me e dai miei fratelli minori, essendo appena morta la mamma, dopo che il papà era morto 4 anni prima: lo zio nostro tutore abitava in un’altra città)
- lavorare (appena nominata maestra di ruolo)
- continuare l’Università (iscritta al 4° anno, dato che avevo saltato una classe elementare ed ero nata a novembre).
Nei 12 anni successivi:
- mi sono sposata e ho avuto 2 bambini
- per 10 anni ho lavorato a scuola come maestra: 4 anni ad orario normale e 6 anni a tempo pieno (il che prevedeva allora –almeno nei primi anni- una serie di impegni accessori che i colleghi a orario normale non avevano)
- per 1 anno sono stata in maternità (1 anno complessivo, da suddividersi su 2 maternità)
- per 1 anno ho lavorato in ufficio, in Provveditorato
- ho ‘lavorato ‘ (gratis, s’intende) per il Sindacato Scuola CGIL, per il PCI e per l’UDI (Unione Donne italiane), ottenendo tra l’altro che agli insegnanti come me fosse aumentato l’orario di lavoro e fossero tolti alcuni privilegi (come la tessera per gli sconti sulle ferrovie).
Nei 18 anni successivi:
- ho lavorato come direttrice didattica nelle scuole elementari e materne
- ho lavorato tanto: un orario di fatto di 36 ore settimanali per 12 mesi all’anno: ciò vuol dire che il mese di ferie, in realtà, compensava giuste giuste le ore di straordinario fatte durante l’anno, la cui retribuzione non era prevista per il personale ‘direttivo’ - (il provveditore voleva che tenessimo un ‘brogliaccio’ del nostro orario giornaliero, segnando ore d’ufficio e ore di riunioni: quando sono andata in pensione ho fatto il conto…)
- ho lavorato con impegno, cioè assumendomi responsabilità ed operando per favorire gli insegnanti che più si impegnavano per il bene dei loro alunni (e impiegati. bidelli e cuochi che facevano altrettanto), per garantire la miglior scuola possibile a bambini di famiglia disagiata o handicappati – non voglio giudicare la qualità del mio lavoro: so che altri han lavorato meglio di me – ma quanto all’impegno, non voglio far la finta modesta
- ho pagato 3 anni di contributi per i 3 anni in cui ero stata studente universitaria.
Sono andata in pensione a 50 anni (per la precisione: 49 anni e 10 mesi) con 33 anni di contributi: un pensionamento conveniente, anche se non ho mai accettato di esser considerata una pensionata-baby.
Per me è stato importante andare in pensione ‘presto’: perché nell’ultimo anno di servizio ha speso gran parte delle mie energie a rimediare agli errori che facevo per problemi di memoria.
In questi 12 anni da pensionata:
- ho ‘lavorato’ come volontaria un po’ per il Coordinamento lavoratori Stranieri del sindacato, ma soprattutto per una cooperativa, coordinando interventi di mediazione culturale: un anno per l’altro, credo di aver fatto un bel part-time di 20 ore settimanali (ma non ho tenuto il brogliaccio),
- ‘lavorare’ come volontaria non vuol dire operare gratis, ma operare in perdita, mettendoci benzina, telefono, guasti all’automobile e un incidente stradale
- i problemi di memoria continuano ad esserci, ma utenti e operatori li accettano in una pensionata volontaria,
- negli ultimi 3 anni ho cominciato a fare una bella fetta di assistenza ai 3 nipotini, supplendo anche ai servizi inesistenti o troppo costosi.
Certo la mia pensione è buona: è passata da 1500 euro mensili netti nel 1999 a 1900 netti oggi.
Mio marito invece (impiegato metalmeccanico con 36 anni e mezzo di contributi) ne prende 1400.
Possiamo fare una vita normale senza preoccupazioni. Possiamo pure aiutare i nostri figli (e anche i figli degli altri).
Possiamo farcela anche se con la manovra io perderò (credo) 250 euro all’anno e mio marito 100.
Non ho capito che cosa mi succederà con la riforma fiscale: ma certamente ce la farò. (quest’anno ho pagato più di 8.000 euro di IRPEF, quasi 8.700 considerando le addizionali regionale e comunale)
Posso dare anche di più, se serve a buon fine.
Posso, però:
- non accetto di esser chiamata “pensionata d’oro”, perché sono una persona onesta: semmai chiamiamo “pensioni di fame” le pensioni di 900 euro, di 700 euro, di 500 euro con cui l’Italia fa’ campare la maggior parte dei pensionati
- e poi, vorrei sapere: chi prende 5 volte più di me, che prendo 5 volte più del minimo, quanto contribuisce? Contribuisce in modo proporzionale e progressivo, come dice la Costituzione? E i dirigenti privati e pubblici che guadagnano 100 o 1000 volte il salario medio di un operaio, non si vergognano dei “salari d’oro”, che i loro colleghi 50 anni fa neppure immaginavano? E i consulenti?
Il presidente Obama (che non è un pericoloso sovversivo) ha fatto un discorso serio su chi può e deve contribuire: credo che lo stesso possa valere anche per l’Italia.
2 luglio 2011. Caterina De Camilli Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
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I risultati delle recenti elezioni amministrative insegnano che alla vittoria del
centrosinistra hanno dato un contributo fondamentale moltissimi cittadini e cittadine
che per anni si sono impegnati nel lavoro, nel sociale e nella cultura e che, spesso, si
sono sentiti distanti dalla politica. Persone che hanno recepito e risposto con entusiasmo
ai messaggi di speranza lanciati da candidati inizialmente indicati come perdenti:
Pisapia, De Magistris e tanti altri.
La vittoria di questi non è dovuta a particolari e sofisticate strategie elettorali suggerite
da superconsulenti, ma al fatto che loro per primi hanno intercettato il bisogno di
partecipazione dal basso di centinaia di migliaia di cittadini che alla politica chiedono
semplicità di linguaggio, chiarezza e realizzabilità dei programmi, impegno personale
onesto e trasparente.
Sono sotto gli occhi di tutti gli esiti di lunghi anni di malgoverno del centrodestra della
città di Como. Il rapporto di fiducia tra gli amministratori della città e coloro che la
vivono quotidianamente è compromesso. Ora più che mai si rende necessario offrire
un’alternativa di governo reale, seria, condivisa, per rispondere a tante necessità e
richieste di cambiamento provenienti dalla gran parte delle cittadine e dei cittadini
comaschi.
In quest’ottica, a meno di un anno di distanza dalle prossime elezioni comunali, previste
a Como per la primavera del 2012, le forze di opposizione devono trovare coesione e,
per fare ciò, non possono rinunciare ad uno strumento fondamentale di democrazia
come le primarie. Questo strumento di partecipazione diretta, infatti, consentirebbe di:
- risvegliare la passione civile per restituire alla politica comasca forza e
credibilità;
- garantire un’ampia partecipazione dei cittadini alla selezione delle candidature e
dei programmi, dalla quale possano scaturire idee importanti e nuove;
- definire con chiarezza e lealtà il perimetro della coalizione di centrosinistra che
si presenterà alle prossime elezioni.
Le esperienze di Milano, Napoli, Torino e Cagliari insegnano che è dal confronto che
nascono i successi più importanti.
Rivolgiamo, quindi, questa proposta a tutte le forze del centrosinistra, alle cittadine e ai
cittadini, ai partiti, alle associazioni, ai movimenti, affinché aderiscano a un nuovo
patto democratico per Como, tramite l’organizzazione, entro il prossimo autunno, delle
primarie per la scelta dei candidati e dei relativi programmi per il comune di Como, per
l’Amministrazione Provinciale e per gli altri importanti centri della provincia.
Non possiamo vanificare, né ignorare i segnali di svolta e partecipazione che le elezioni
amministrative prima, e i referendum poi, hanno inviato, pena la definitiva disaffezione
delle persone alla vita politica e, con essa, alle sorti civili delle nostre comunità.
Il Comitato promotore per le primarie del centrosinistra a Como
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