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APPELLO PER UNA MOBILITAZIONE ANTIRAZZISTA A COMO
Il campo istituzionale non è una soluzione
Dai primi di Luglio, quando la città di Como si è trovata di fronte decine di migranti (poi diventate centinaia) bloccate in stazione San Giovanni, moltissime persone e svariate associazioni si sono prodigate nel dare loro assistenza e dimostrare solidarietà.
Entro il 15 Settembre dovrebbe essere messa in funzione una soluzione governativa per riportare i migranti accampati in stazione nel "circuito legale dell'accoglienza": si stanno infatti installando una sessantina di container nell'area ex Rizzo, all'interno della quale i migranti sarebbero "ospitati".
Nonostante l'evidente necessità di un riparo più dignitoso del portico di una stazione o, nel migliore dei casi, di una tenda di fortuna, il trasferimento più o meno forzato verso una struttura chiusa, lungi dal risolvere il problema, lo nasconde.
Per chi pensa che questa soluzione sia il meno peggio, diciamo che la creazione di questo campo è del tutto strutturale ad un sistema che imprigiona ed impedisce alle persone di andare dove desiderano.
Se da una parte è apprezzabile il farsi carico dell’aiuto materiale di queste persone, il nostro impegno non dovrebbe limitarsi semplicemente a questo.
La rivendicazione fondamentale dei migranti, mai sufficientemente ribadita, è quella di passare la frontiera: non di dover scegliere tra un parcheggio legale o un girovagare clandestino.
Di fronte ad un sistema politico ed economico che tratta queste persone come merci da dividere, gestire e sfruttare, immagazzinandole in dei container, nascondendole alla vista e nel peggiore dei casi rimpatriandole, e che ne obbliga a migliaia nella condizione della clandestinità, pensiamo sia necessario riuscire ad immaginare una prospettiva che sia radicalmente altra.
Alla luce di tutto questo c'è l'esigenza di alzare una forte voce di protesta.
Ci appelliamo a tutte le persone e tutte le realtà che si riconoscano in questa critica e invitiamo a partecipare con i propri contenuti ad una mobilitazione antirazzista cittadina.
CORTEO A COMO
15 SETTEMBRE – ORE 19:30 - CONCENTRAMENTO STAZIONE SAN GIOVANNI
i/le solidali dell'infopoint

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Da inizio Luglio centinaia di migranti provenienti da Eritrea, Somalia, Etiopia, Gambia e Sudan tentano di attraversare la frontiera da Como per raggiungere i Paesi del Nord Europa, dove spesso si trovano i loro congiunti. Arrivati alla dogana vengono identificati, sottoposti a perquisizioni invasive e umilianti da parte della Polizia di frontiera svizzera e poi reclusi per ore senza spiegazioni. La maggior parte di essi viene riammessa e consegnata alla Polizia di frontiera italiana a Ponte Chiasso, compresi i minori non accompagnati che avrebbero diritto all'immediata attivazione della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale. Una parte di loro viene semplicemente respinta e a piedi fa ritorno alla Stazione San Giovanni, mentre i restanti vengono caricati su pullman per essere trasferiti forzatamente negli hotspot del Sud Italia, nella fattispecie a Taranto.

I trasferimenti, giustificati dalla Prefettura con la necessità di identificare i migranti, rientrano nel più ampio obiettivo di alleggerimento delle frontiere; di fatto però, come denunciato dal rapporto di Amnesty International e dall'Associazione Studi Giuridici Sull'Immigrazione (ASGSI), questo tipo di azioni si devono considerare alla stregua di
 "trattamenti inumani o degradanti"
vietati dall'art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

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Stazione di Como S. Giovanni
27 agosto 2016
Petros ha 22 anni, ed ha iniziato il suo viaggio ad Asmara, in Eritrea. Si è lasciato alle spalle un fratello ucciso e una madre sola. È partito con il fratellino minore, in cerca di futuro. Fino in Libia i due hanno viaggiato insieme, poi la barca li ha divisi. Il più piccolo è partito per primo, con altre 300 persone, ma l’Europa non è riuscito a vederla. Con Petros il mare è stato più generoso, lo ha portato in salvo fino alle coste siciliane.
Lo sbarco risale ai primi giorni di luglio, e subito dalla Sicilia inizia la risalita verso nord. Ha un caro amico che lo aspetta in Germania ed è lì che sogna di costruire il proprio futuro. L’arrivo in Italia, nell’Europa dei diritti e della libertà, che nell’immaginario sancisce la fine del viaggio, non è che l’ennesima sfida.
Dopo pochi giorni raggiunge la frontiera di Como, dove da più di 40 giorni è bloccato. Racconta di aver  provato sei volte a passare la frontiera, e di essere stato per sei volte respinto. Ha provato in treno, ha provato a piedi. La scorsa settimana l’ho incontrato nel parco della stazione appena arrivato dall’ennesimo tentativo: aveva camminato per due giorni tra le montagne, arrivando fino in centro Lugano. Mi mostra una mappa e inizia a descrivermi il percorso; erano in due ragazzi, con un gps. Una volta arrivati in città, la
polizia li ha subito intercettati e non c’è stato modo di continuare il viaggio. Sono tornati a Como con un po’ di malinconia negli occhi non ancora disillusi.

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Dai primi di luglio, decine e poi centinaia di migranti in transito verso il nord Europa si sono trovati bloccati alla stazione di Como San Giovanni, costretti a interrompere il proprio viaggio a causa della chiusura della frontiera svizzera.
Sin dai primi giorni la solidarietà cittadina si è messa in moto, e quello che abbiamo potuto osservare è stato un grande sforzo orientato a soddisfare i bisogni primari: i primi volontari hanno portato cibo e coperte, poi lentamente si è attivata la macchina istituzionale.
Nel giro di circa un mese dai primi arrivi, i tanti volontari e solidali che si sono avvicinati al campo di San Giovanni hanno potuto meglio fotografare le reali condizioni e l'effettiva ef ficacia di questi interventi: notati i limiti, si è deciso di provare a intervenire in modo
diverso ed in seguito redigere questo rapporto indipendente, che cerca di dare un'interpretazione un po' più "interna e diretta" delle reali condizioni del campo e delle persone che lo popolano.


UNA PREMESSA METODOLOGICA
“Emergenza profughi”, nella “Como città turistica, accogliente e solidale”.
Frasi ripetute quasi fossero un mantra, parole sulla bocca dei tanti, dal Comune ad alcuni volontari, che si sono prodigati nell'affrontare i particolari avvenimenti dell'estate cittadina.
Ma siamo sicuri che di emergenza si tratti? E soprattutto, cosa farebbe un semplice albergatore di fronte ad un “aumento dei visitatori” (qualche centinaio, mica un'invasione) in una città turistica? Sembrerà una provocazione, ma essendo i migranti semplici persone
in transito, i primi interventi sarebbero potuti essere questi, provando a scrollarsi di dosso l'approccio assistenziale e caritatevole, o peggio quello autoritario e intriso di (presunta) superiorità culturale, immaginando il parco di San Giovanni come un campeggio un po'
speciale. L'assenza di un inquadramento globale delle “responsabilità politiche” riguardo il processo migratorio in corso, invece, grazie anche al semplicismo e sensazionalismo giornalistico, hanno fatto percepire a tanti (cittadinanza e turisti) che si fosse in preda ad
un'emergenza, per altro di carattere esclusivamente locale.


PARTE PRIMA: l'intervento sui bisogni primari, fondamentale dal punto assistenziale per arginare il rischio di repentino peggioramento delle condizioni di salute.
Orientamento e assistenza legale
Cercando di inquadrare il problema fuori dall'ottica emergenziale, l'intervento prioritario rimane quello di informare le persone: non è mai esistita una comunicazione ef ficace riguardo, ad esempio, la semplice locazione dei servizi messi a disposizione in città.
Solo dal 26 agosto viene messo in piedi dal Comune uno sportello di assistenza legale: se si crede che il rispetto della legalità sia un aspetto determinante, si sarebbe dovuto affrontare questo aspetto con priorità assoluta. Per fortuna fino a pochi giorni fa questo
enorme lavoro era portato avanti non senza dif ficoltà dalla deputata ticinese Lisa Bosia Mirra dell'associazione Firdaus in collaborazione con il soccorso operaio svizzero e con il prezioso supporto della giurista comasca Luciana Carnevale.
Con il tempo sono entrate in gioco altre realtà capaci di muoversi su questo campo, e quindi si è passati dal lavoro "fondamentale" della raccolta di storie e testimonianze individuali, utili ad avanzare le richieste di ricongiungimento familiare in Svizzera e delle
richieste di asilo, ai corsi di formazione da parte delle avvocatesse di ASGI alla messa a disposizione di guide prodotte da varie organizzazioni indipendenti europee, nelle varie lingue. Le visite del personale di Medici Senza Frontiere e di Save the Children hanno
rafforzato questo tipo d'intervento, rivolgendosi soprattutto alle situazioni più critiche.
Tuttavia, manca ancora un lavoro sistematico, continuativo, in grado di spiegare ai migranti in transito il "sistema Dublino" e la complessità della loro condizione d'illegalità.

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