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Il M5S Lombardia ha depositato in Consiglio regionale, questa mattina, una mozione urgente per discutere le problematiche riguardanti l'accesso al sistema sanitario nazionale dei frontalieri. La Presidenza del Consiglio ha ritenuto che la mozione non avesse i requisiti di urgenza ma abbiamo comunque ottenuto dall’Assessore Brianza l’impegno di portare la discussione in una riunione congiunta delle commissioni Rapporti con la Confederazione Svizzera e Sanità, richiedendo la presenza di una rappresentanza della direzione dell'assessorato alla salute e di una dei frontalieri.
Per Paola Macchi, consigliere del M5S Lombardia: “Riteniamo indispensabile intervenire in tempi brevissimi su quello che rischia di diventare un grosso problema per molti frontalieri per i prossimi 2 anni. Una circolare del Ministero della Salute sta creando confusione, disagio e disparità di trattamento e di diritti a di cittadini italiani che vivono in un territorio in cui molte imprese si sono trasferite oltre frontiera e che conta circa 60.000 frontalieri che giornalmente vanno a lavorare in Svizzera. Questi lavoratori rivendicano il loro diritto di accedere gratuitamente al sistema sanitario nazionale visto che pagano comunque le tasse all'Italia in modo indiretto con i ristorni trasferiti dalla Svizzera, ristorni che vengono utilizzati , come altri gettiti fiscali, per costruire strade, scuole , ospedali. Ci eravamo presi l’impegno di presentare la mozione urgente durante il Frontaday di sabato scorso e l’abbiamo fatto puntualmente, ora chiediamo che venga convocata al piu' presto la commissione congiunta per dare risposte certe ed eque a migliaia di cittadini lombardi."

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                    In occasione del 1° dicembre, Giornata Mondiale di Lotta all’AIDS
ANDATE E INFETTATEVI. Nel 2014 in Italia 3.695 persone hanno scoperto di essere Hiv positive, un’incidenza pari a 6,1 nuovi casi di sieropositività ogni 100 mila residenti. La fascia di età maggiormente colpita è quella tra i 25-29 anni (15,6 ogni 100.000 residenti). L’ 84,1% di tutte le nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile a rapporti sessuali senza preservativo.
Sono sufficienti queste pochi dati per comprendere la follia di uno stato che da anni ha rinunciato a qualunque programma di prevenzione, assistendo indifferentemente e impunemente all’infezione di quasi 4.000 propri cittadini ogni anno.
Sempre nel 2014 poco meno di un quarto delle 858 persone alle quali è stato diagnosticato l’ Aids (la fase avanzata dell’infezione)  ha eseguito una terapia antiretrovirale prima di arrivare in Aids conclamato. Questo  è dovuto al fatto che una quota crescente di persone Hiv positive è inconsapevole della propria sieropositività:  tra il 2006 e il 2014 è aumentata la proporzione delle persone che arrivano allo stadio di Aids conclamato ignorando la propria sieropositività, passando dal 20,5% al 71,5%.
Tra le circa 130.000 persone sieropositive viventi diverse decine di migliaia non conoscono la loro condizione; ne deriva un maggior rischio di trasmettere il virus e un grave ritardo nell’avvio delle terapie con conseguenze per la propria salute. Non c’è traccia di una seria campagna per invitare coloro che possono essere stati esposti al virus,  a sottoporsi volontariamente al test. Nulla, tutto tace.
A mio parere è lecito ipotizzare una responsabilità penale delle autorità sanitarie per omessa responsabilità istituzionale verso la tutela della salute collettiva.
IL VACCINO FANTASMA. Sono trascorsi ormai 17 anni da quando la maggioranza dei media italiani titolava: “Vaccino anti-AIDS: l’Italia è prima” “Aids, funziona il vaccino italiano” “Il mio vaccino batterà l’AIDS”; ma nessun vaccino è all’orizzonte.
Nel 2005 il Ministero della Sanità e l’Istituto Superiore di Sanità annunciarono il grande successo della fase 1 e l’imminente avvio della fase 2, nulla di tutto ciò accadde e anzi nel 2011 la ricerca dovette rincominciare dalla fase 1 con un diverso disegno clinico, segno evidente che qualcosa non aveva funzionato. Poco dopo nel marzo 2014 anche la nuova fase 1 fu bloccata per la non conformità di una delle proteine utilizzate con le nuove linee guida europee.

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invito i presenti a integrare o correggere i miei eventuali errori: Dopo una mezz'ora circa di volantinaggio gli uomini della questura ci hanno guidato nell'ufficio dove ci attendeva Marchesi, vecchia conoscenza dello staff dell'assessorato (con lui c'erano il direttore della segreteria generale di cui non ricordo il nome e l'assistente sociale dottoressa Ponte),il quale si è speso, spesso mostrando insofferenza, per spiegarci che, a fronte di risorse statali sempre più esigue, l'amministrazione, attraverso le sue delibere n. 2883 e n. 2665 ha cercato di orientare le scelte dei comuni verso interventi volti a facilitare la vita indipendente. tra le varie cose ci ha spiegato che, per ragioni di tipo giuridico, non è per niente facile che le risorse ora destinate alla sanità possano essere spostate verso il sociale (nel pomeriggio, quando siamo riusciti, grazie all'azione di Paola Macchi consigliera del cinque stelle, a introdurci nel palazzo del consiglio regionale dove si svolgevano i lavori del consiglio stesso, alcuni consiglieri del Pd ci hanno detto che non è affatto vero).
non sono in grado di elencare tutti gli interventi fatti dai presenti, non avendo preso appunti. Personalmente ho lamentato la mancanza di chiarezza nella definizione di vita indipendente e, soprattutto, la cattiva volontà di applicazione delle indicazioni regionali secondo me poco chiare, circa per esempio la possibilità di sommare le due misure (B1 a favore di persone in dipendenza vitale e quella B2, quest'ultima soggetta a Isee, destinata a persone con disabilità gravi e gravissimi) in funzione del diritto alla vita indipendente. Marchesi ci ha letto lo stralcio della delibera in cui, effettivamente, quest'ultima disposizione è ben indicata, invitandoci a segnalare al suo stesso ufficio questi disservizi.
Era presente anche la dottoressa Matucci che segue per conto della regione Lombardia i lavori riguardanti le linee guida e il bando del ministero sulla vita indipendente.
Avendo seguito, al tavolo del piano di zona di Como, gli sviluppi riguardanti la stesura del bando in versione comasca, ho creduto bene ridimensionare il suo entusiasmo facendo presente che le prescrizioni emanate dal ministero alle regioni in materia di vita indipendente e, da queste ultime ai piani di zona, sono in contraddizione con il concetto di vita indipendente perché costringono le persone ad accettare soluzioni tecniche poco rispettose della loro libertà e espressione , infatti a qualcuno può essere sufficiente un sostegno nell'abitare, mentre a qualcun altro può servire esclusivamente il supporto dell'assistente personale e a qualcun altro entrambe le cose.

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Dopo la sollecitazione di numerosi genitori il M5S Lombardia ha deciso di lanciare una raccolta firme per sondare la volontà dei genitori lombardi di poter scegliere se portare il  pasto da casa in alternativa a quello offerto dal servizio di ristorazione scolastica. La raccolta firme è disponibile sul sito Change.org: http://goo.gl/YAjj5d.
 
Per Paola Macchi, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle della Lombardia: “ Non sottovalutiamo l’importanza didattica del pasto di mezzogiorno, anche dal punto di vista dell’educazione alimentare, ma moltissime famiglie ci hanno segnalato disagi di varia natura generalmente economica o etica conseguente all’impossibilità, in quasi tutte le scuole della regione, di portarsi il pasto da casa”.
 
“L’Art. 32 della Costituzione, garantisce il diritto a “scelte alimentari autonome”, ogni genitore dovrebbe quindi essere libero di poter scegliere cosa far mangiare ai propri figli. Non esiste nessuna normativa o direttiva regionale, nazionale, europea che vieti il consumo dei pasti portati da casa eppure, mentre negli altri paesi europei questa possibilità c’è da sempre, in Italia, sebbene in Lombardia ci siano comuni che hanno già previsto questa possibilità, siamo parecchio indietro”, continua Macchi.
 
“Porteremo le firme all’Assessore all’istruzione, Valentina Aprea, perché solleciti i comuni affinchè sia permesso alle famiglie di scegliere se andare a scuola con il pranzo da casa oppure usufruire della mensa, naturalmente preservando la piena autonomia di ogni comune di definire le regole in base a considerazioni che ci auguriamo siano condivise con i genitori.””, conclude il consigliere regionale.

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